
La lotta per i diritti non si ferma, nemmeno online
L’8 marzo non è una festa, ma una giornata di lotta. Anche quest’anno Arci aderisce allo sciopero transfemminista indetto da Non Una Di Meno; invitiamo a partecipare alle mobilitazioni nelle piazze e alle iniziative territoriali in tutta Italia. Tra queste, insieme a UCCA, promuoviamo nei nostri Circoli la proiezione del documentario “Si dice di me”, un racconto ambientato a Napoli sul teatro come strumento di incontro, emancipazione e autodeterminazione.
Ma vorremmo che la nostra lotta si estendesse anche negli ambienti digitali, dove le discriminazioni di genere si riproducono e si amplificano. Se è vero che il web può essere un grande strumento di emancipazione, dobbiamo fare i conti con il fatto che troppo spesso è anche un luogo di esclusione e violenza.
“Di tutte le cose che le donne possono fare nel mondo, parlare è ancora considerata la più sovversiva. Se si è donna, in Italia si muore anche di linguaggio. È una morte civile, ma non per questo fa meno male”. Le parole di Michela Murgia ci ricordano che il silenziamento e l’attacco sistematico a chi prende parola sono strumenti di oppressione. E il web, invece di essere uno spazio di libertà, troppo spesso diventa il luogo in cui queste dinamiche si amplificano.
Secondo il Global Gender Gap Report del World Economic Forum, il Gender Digital Divide è ancora una realtà: nel mondo, le donne e le ragazze hanno meno accesso alla rete, meno competenze digitali e meno opportunità di lavoro nel settore tecnologico. Ma non si tratta solo di accesso: è la qualità del nostro abitare online a fare la differenza.
Il cyberspazio non è neutro, e i numeri lo confermano. Secondo l’European Institute for Gender Equality (EIGE), una donna su dieci nell’Unione Europea ha subito violenza online dall’età di 15 anni. In Italia, secondo il Barometro dell’Odio di Amnesty, nel 2024 l’hate speech è triplicato. Le due ‘categorie’ che raggiungono la percentuale maggiore di commenti discriminatori e discorsi d’odio (su Facebook e su X) sono le donne, seguite dalle persone con background migratorio. Si tratta di violenze che spesso si intersecano con altre forme di discriminazione, come razzismo, omolesbotransfobia e abilismo. Per affrontare questo terreno scivoloso, dobbiamo partire dal dare un nome alle cose: è il nostro primo atto per (re)agire. Termini come cyberstalking, revenge porn, sextortion non sono tecnicismi, ma parole che descrivono aggressioni virtuali, che hanno conseguenze reali e devastanti; sono spesso il prolungamento, se non l’amplificazione, delle violenze subite offline.
Lo spazio digitale è uno spazio conteso. La sua apparente libertà nasconde squilibri di potere radicati: le grandi piattaforme regolano l’accesso e il discorso pubblico, mentre – anche in Italia – le leggi faticano a tutelare chi subisce abusi. Il senso di impunità, la possibilità di anonimato e l’assenza di normative adeguate rendono la violenza di genere nel digitale pervasiva e difficile da contrastare. E non è un caso che le attiviste, le giornaliste e le persone più esposte politicamente siano anche le più colpite dall’odio online.
Eppure, questo spazio può e deve essere abitato. Per questo, in occasione dell’8 marzo, ARCI rivendica il diritto a esistere pienamente anche negli spazi digitali, a essere liberɜ di esprimersi senza paura, a costruire comunità solidali che resistano alla violenza e all’esclusione.
Il cyberspazio non è solo un luogo di aggressione: può essere anche uno strumento di autodifesa, di connessione e di trasformazione. Ma per renderlo realmente aperto e accessibile, serve un impegno collettivo.
L’illustrazione di quest’anno è opera dell’artista Alessandra Marianelli, in arte Luchadora. Il suo nome d’arte si ispira alle lottatrici del wrestling messicano, simboli di forza e resistenza. La vivacità dei colori, la fantasia e l’energia delle loro maschere l’hanno sempre affascinata, diventando una fonte di ispirazione per il suo lavoro.
Connessɜ e resistenti!