Sabato scorso, durante la serata finale del Festival di Sanremo, Pierfrancesco Favino recita un frammento – 4’ 42’’ – de La notte poco prima delle foreste di Bernard-Marie Koltès, lo seguono 11 milioni di spettatori.
Questa la quarta di copertina del testo teatrale:
«Essere stranieri. Abbordare un nuovo e giovane amico sotto la pioggia. Avere in cuore una ragazza notturna, un ectoplasma da lungo fiume. Odiare gli specchi. Amare le puttane matte. Distinguere il ‘nervosismo’ dai macrò usciti dritti dritti dalle gonne di mamma. Farsi un’idea di qualcuno solo se te lo scopi. E però poi filarsela, senza discorsi. Denunciare la divisione in zone di lavoro settimanale, in zone per le moto, o per rimorchiare, o per le donne, o per gli uomini, o per i froci, e avvilirsi per le zone della tristezza, della chiacchiera, del venerdì sera. L’intelaiatura de La notte poco prima della foresta è un paradigma straordinario, un testo fluentissimo e irto nella sua prosa vertiginosa, aliena da punteggiatura ferma, tutta pervasa di anacoluti e biasimi come un romanzo-pamphlet di Céline.
I temi assoluti di questo autore prematuramente scomparso a quarant’anni affiorano in una comunicazione per voce solista, in un poema teatralissimo che senza più la diatriba simbolica de Nella solitudine dei campi di cotone sconta i problemi dell’identità, della moralità, dell’isolamento, dell’amore non facile».
Il contesto italiano e di quella giornata in particolare sembrano suonare all’unisono interpretando l’intervento di Favino secondo una lettura emotiva e strettamente legata al tema dei migranti.
Se c’è il merito di dare voce e volto a parole e storie, quindi di sfuggire alla rappresentazione numerica che infesta giornali e TG, lo squarcio di riflessione che Favino apre durante uno dei momenti televisivi per cui si manifesta spesso tanta insofferenza, rischia di essere auto assolutorio per il pubblico, che ovviamente si commuove, così come l’attore, in questo gioco di risonanze.
E in rete si moltiplicano gli interventi entusiastici così come quelli dei detrattori.
Ma siamo in Italia dove alcuni si pregiano sui media e sui social di essere razzisti. Dove una falsa notizia di un viaggiatore ferroviario di colore, in poche ore aiuta a dare la stura a una sequela di interventi da leoni da tastiera. Peccato sia falsa appunto.
Il testo recitato a Sanremo non riguarda solo il tema dei migranti, tanto che il personaggio potrebbe essere una vittima di bullismo, un omosessuale, una qualsiasi figura che si sente straniero nel paese in cui si trova. Parla della dignità di un qualunque capro espiatorio, parla della dignità di ognuno di noi.
Però in un frangente in cui ‘l’espulsione dell’altro’ (cfr. il saggio con questo titolo di Byung-Chul Han) è il tema che caratterizza la fase attuale italiana, questo passaggio può segnare un punto importante nell’immaginario collettivo che non deve rimanere confinato a quei 4’ e 46”, ma trovare il modo di essere rappresentato con continuità ed emozione.
Un cortocircuito tra avanguardia e mainstream, che però conferisce alla rappresentazione una forza importante nell’orizzonte di questi tempi bui.