A 5 anni dall’adesione del nostro Paese a questo importante strumento europeo, governo e parlamento non sono ancora riusciti ad emanare la legge che la renderebbe operativa
Il 23 febbraio 2013 l’Italia ha sottoscritto, ma non ratificato, la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale e la società, anche chiamata Convenzione di Faro. La Convenzione è entrata in vigore nel 2011. Sono passati 5 anni dall’adesione del nostro Paese a questo importante strumento europeo ma il governo e il parlamento non sono ancora riusciti ad emanare la legge che la renderebbe operativa. A dire il vero, una proposta di ddl che adottava un testo proposto dal governo, era arrivata a metà 2017 nelle commissioni di Camera e Senato. Ma lì si è fermata.
Un vero peccato perché la Convenzione di Faro promuove una concezione più ampia del patrimonio culturale e del suo rapporto con le comunità che lo hanno prodotto ed ospitato. Per la prima volta il diritto al patrimonio culturale è espressamente riconosciuto come parte del diritto a partecipare alla vita culturale di una comunità e nasce dalla volontà di mettere in evidenza il contributo del patrimonio culturale alla costruzione di una società democratica e pacifica, al suo sviluppo sostenibile e alla promozione della diversità culturale. Tutti temi presenti nel sistema valoriale dell’Arci.
Inoltre, al centro della Convenzione di Faro viene collocata la persona, che assume un ruolo fondamentale nella identificazione del patrimonio culturale. Tanto da definire le ‘comunità patrimoniali’, «insieme di persone che attribuiscono valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale e che vogliono sostenere e trasmettere alle generazioni future, nel quadro di un’azione pubblica».
Molte delle associazioni aderenti all’Arci possono essere considerate come ‘comunità patrimoniali’ che si prendono cura di vari aspetti del patrimonio immateriale di un territorio, di un ambito culturale specifico. Ma che sono anche ‘comunità patrimoniali’ che cercano nuove strade per far evolvere tale patrimonio attraverso l’incontro con altre culture.
È particolarmente importante riconoscere a queste esperienze e a queste progettualità un ruolo importante per le comunità di riferimento in un periodo storico e sociale di chiusura identitaria, dove il rischio di concepire il patrimonio solo come eredità storica e difesa del passato è molto forte e pericoloso. In effetti la Convenzione allude ad un patrimonio europeo che non è la mera sommatoria dei patrimonio dei singoli stati membri ma un ‘patrimonio pienamente europeo’ che rafforza l’dea di cittadinanza europea.
Quindi un patrimonio che è in continua evoluzione, che cambia con l’interagire con i cittadini, le loro organizzazioni, il modificarsi del territorio, il progredire delle comunità.
Ci sono poi diversi aspetti interessanti della Convenzione che vanno approfonditi, come il rapporto tra le ‘comunità patrimoniali’ e le autorità pubbliche, il livello di co-progettazione tra comunità, le loro organizzazioni e gli enti territoriali.
Proprio per i tanti interessanti fronti che la Convenzione apre, è importante sostenere ed aderire al nuovo appello di Federculture che chiede al Parlamento di ratificare, finalmente, la Convenzione di Faro prima che finisca il 2018, anno europeo del Patrimonio Culturale.