«So’ belli i trenini delle feste, so’ belli perché non vanno da nessuna parte!»
(La grande bellezza)
Sembrava di stare in un film di Paolo Sorrentino: ecco perché non c’era, stava girando…
Nella danza grottesca della cerimonia di premiazione dei David di Donatello abbiamo assistito a dichiarazioni confuse, prolisse e banali, gaffe e proclami. Carlo Conti ha fatto del suo meglio alla festa del cinema italiano, ma non basta la goliardia sul bacio di Uma Thurman o interrogare Dario Argento sulle sue paure. Per fortuna c’era anche altro: persone sinceramente commosse a partire da Matteo Garrone, già dai premi assegnati ai suoi collaboratori per Dogman, e Alessandro Borghi nel ricordo di Stefano Cucchi.
Nove statuette su quindici candidature: il trionfo di Dogman spazza via altri buoni film, tra cui Euforia di Valeria Golino e Lazzaro Felice di Alice Rohrwacher. Con loro a bocca asciutta in modo sorprendente anche Anna Foglietta, su cui molti scommettevano per la straordinaria interpretazione in Un giorno all’improvviso di Ciro D’Emilio (opera prima). I premi, anche gli Oscar, non vanno sempre a chi li merita, ma tutti li vogliono perché aiutano il marketing e le carriere. Meritato il premio per la produzione (Lucky Red e Cinemaundici) a Sulla mia pelle per il coraggio di narrare l’ultima settimana di vita di Cucchi nell’attuale contesto sociopolitico; il dibattito sulle proiezioni abusive in autunno fece pensare: il cinema è vivo!
La serata diventa una festa di zombi in cui si finge che il cinema non sia in crisi. Con il 2% dei film visti in sala e il 98% visti altrove. Ascoltate l’accorato, lungo, retorico appello di Gabriele Muccino (David del pubblico per A casa tutti bene, cioè il premio al maggiore successo al botteghino: 1 milione e 400mila spettatori in sala) e la constatazione di Garrone «televisori sempre più grandi e sale cinematografiche sempre più piccole» (scoperta dell’acqua calda).
Se il cinema fosse in salute, non staremmo qui a confermare CinemaDays e lanciare Moviement, ovvero le grandi prime visioni in estate (ops: Tarantino esce il 19 settembre, non a Ferragosto). CinemaDays è un’elemosina (da 1 a 4 aprile: il lunedì ci sarebbe già la riduzione, alcune sale hanno il giorno di chiusura martedì o mercoledì). «Moviement è un progetto innovativo e ambizioso, che, in 3 anni, intende cambiare le abitudini degli spettatori italiani», il proclama. De Palma, Audiard e Spiderman vinceranno pinne, fucili e occhiali? Forse estate torrida e mancanza di soldi per le vacanze spingeranno tutti a chiudersi nei cinema con l’aria condizionata. Comunque, multiplex: non sembra un’occasione per le storiche sale del centro o le monosale. E il lapsus di Andrea Occhipinti con ‘ghostbusters’ al posto di ‘blockbuster’ lascia presagire sale fantasma. Chissà.
E poi Netflix. Senza avremmo avuto Roma di Alfonso Cuarón e Sulla mia pelle di Alessio Cremonini? Tv, vhs, dvd, Sky, download, streaming, ecc. hanno già fatto vacillare la centralità della sala. Netflix è conseguenza di un cambiamento nella fruizione, non la causa. Non si capisce quale sia il problema se nazioni con Netflix da prima di noi staccano più biglietti di noi.
Infine, la polemica di Fiorello: troppi film seri e cerimonia noiosa; «ve la cantate e ve la suonate tra voi».
Ma la giuria era formata da 1.575 persone e ognuno ha espresso le sue preferenze; certo, tutti del settore, ma è giusto così. Sulla cerimonia il famoso showman è più titolato per esprimersi, ma smentito dai numeri: con 2 milioni 975mila spettatori (share del 15% su Rai 1) la premiazione dei David è il programma più visto in prima serata il 27 marzo. Irritano l’arroganza e la gratuità dell’attacco a Nanni Moretti, che sarebbe venuto solo perché sicuro di vincere (su altri validi candidati); a noi importa che abbia raccontato quell’altro 11 settembre, in Cile, nient’altro. Infine, il qualunquismo dell’accusa di avere scelto solo storie tristi ha dell’incredibile e porta alla memoria le parole di François Truffaut: «Ognuno ha due mestieri: il proprio e quello di critico cinematografico».