Qui a Stonewall, 50 anni dopo la rivolta che diede inizio al movimento di liberazione gay, le persone omosessuali e transessuali hanno perso lo sguardo ferito (Allen Ginsberg). Nel Greenwich Village di Manhattan i giovani, per lo più turisti, si raccolgono come in preghiera: la celebrazione del World Pride a New York è festa e commozione «per i nostri eroi» ricordano gli striscioni. Restano le cicatrici per gli anni più bui, dall’Aids che spazzò via un’intera generazione di sogni e di talenti, alle discriminazioni quotidiane, dalla famiglia al lavoro. A Times Square i brand delle multinazionali si colorano di arcobaleno, e così i palazzi delle istituzioni e del capitalismo: siamo nel mainstream, siamo il mainstream. Minoranza numerica certo, ma nel Pride Month almeno, sembriamo maggioranza culturale.
Dopo la presidenza Obama, che nel 2016 elevò Stonewall a monumento nazionale, e dopo i festeggiamenti per i matrimoni egualitari, l’America di Trump getta una luce tetra: per una figlia lesbica o un figlio transgender che nasce oggi essere se stessi, anche negli Usa, non sarà ancora così semplice.
La battaglia, 50 anni dopo Stonewall, continua.