«Spero che ti violentino ‘sti negri». «Le mogli vi devono stuprare, sti’ clandestini». Era notte a Lampedusa, dopo ore e giorni di grandi tensioni e clima di disperazione a bordo. E quando era ancora buio, appena attraccata la Sea Watch 3 sono partiti gli insulti contro la Capitana.
Nei minuti subito successivi tanto livore e odio si è spostato sui social, ed è da giorni che a Carola Rackete si augurano le peggio cose, con il Ministro degli Interni e altri che l’attaccano di essere la «ricca tedesca» e la «sbruffoncella» da espellere.
Tutto ovviamente falso: Carola è una giovane donna che ha studiato tanto, si è mantenuta gli studi lavorando, ha viaggiato e parla le lingue. Insomma, per i sovranisti rappresenta il peggio: donna, autonoma, colta, coraggiosa e cosmopolita. Bersaglio ideale.
Ma la Capitana è solo l’ultima vittima dell’offesa violenta, esiste un esercito di stupratori da tastiera che cresce e senza vergogna. Un clima che spesso fa paura, perché è difficile che tanto livore possa rimanere confinato nello spazio di un computer o sul palmo di uno smartphone.
Come Arci lottiamo, quotidianamente, perché abbiamo deciso di non tollerare simili minacce su facebook e twitter. Quindi segnaliamo e banniamo, e nel caso denunciamo, gli avvelenatori dei pozzi del web. E i bersagli, manco a dirlo, sono i migranti, le donne, le persone lgbti, i disabili.
La rete, contrariamente a quanto sostiene qualcuno, non è un altrove indefinito, è il nostro specchio. La violenza sul web è la stessa che circola fuori, magari in forme diverse ma è presente.
C’è una sola difesa: denunciare sempre e non lasciar passare nemmeno un insulto. Se c’è un modo per contrastare è quello di non far finta di nulla, ogni minaccia di stupro o diffamazione va inteso come un danno a tutta la comunità civile.