Presentato all’ultimo Festival di Cannes, riporta nelle sale dopo 7 anni Lee Chang-dong, con un film ispirato al racconto Granai incendiati di Murakami. Due ragazzi si incontrano e avviano una relazione. Ma un altro ragazzo misterioso e ricchissimo potrebbe compromettere il loro rapporto; il più classico degli intrecci di sempre, ma niente è come sembra nel nuovo seducente dramma del maestro sudcoreano Lee Chang-dong, che già nel titolo esplicita il risentimento ‘ardente’ provato dai personaggi.
Sotto i nostri occhi vanno in fiamme, infatti, le serre abbandonate sulle quali i protagonisti sfogano la loro aggressività per mancanza di uno sbocco adeguato per la loro rabbia, in una Corea del Sud dove la generazione attuale avverte il malessere del vivere in modo peggiore dei propri genitori e allo stesso tempo il divario tra la classe abbiente e i lavoratori sfruttati e sottopagati sembra più acuta che mai.
Burning tenta di dare un senso a questa frustrazione all’interno di un thriller sorprendentemente non convenzionale, come un disegno accennato dalle tonalità cupe e fatto di tratti che non si chiudono.
Ci immergiamo nel silenzio, nella gelosia e nella frustrazione della bellissima Hae-mi e nella sua lotta per emergere, ma con altrettanta urgenza sentiamo il bisogno di imporre un senso di ordine sugli eventi che sfuggono al nostro controllo.
Nell’incertezza tra la verità e l’invenzione, siamo come Jong-su, desideriamo capire perché le cose accadono in quel modo, ma fino alla fine Lee ci nega questa soddisfazione.