Un nuovo disco dei Massimo Volume è sempre una buona notizia. E la cosa migliore è che con la loro musica non evocano ricordi, non fanno riemergere luoghi e pensieri perduti. Continuano un accumulo che altrove rischia di incorporare troppo e di digerire troppo poco. Ma non qui. Dopo molti anni, più di dieci, ritorno ad intervistare Emidio Clementi.
Solitamente sono interessato ad approfondire lo spazio che intercorre tra un disco e l’altro di un artista per capire cosa è accaduto nel frattempo, quali sono state le esperienze vissute e incorporate nel nuovo lavoro. Hai fatto moltissime cose da Aspettando I Barbari: musica, teatro, un nuovo romanzo. Cosa è entrato di tutto questo nel nuovo album?
Eliot è un autore a cui sono sempre tornato prima di cominciare a scrivere i testi di un disco. Mi è utile il suo ritmo, la nettezza dei suoi versi. Stavolta però non ne ho avuto bisogno. Avevo ancora bene impresse le sue parole, ripetute in più di quaranta serate. Riguardo al disco di Sorge credo mi sia servito per affinare il lavoro sulla rima, cominciato già in Aspettando I Barbari e ancora più presente nell’ultimo disco. Anche L’Amante Imperfetto ha lasciato una scia. Un paio di testi de Il Nuotatore sono considerazioni che avrei potuto inserire nel libro. O forse ci sono già, esposte in maniera diversa.
Veniamo al nuovo album, Il Nuotatore: intanto come avete scelto il titolo dell’album e l’umore generale del disco?
È un titolo evocativo, al di là del significato che ne dà Cheever nel suo racconto. Il nuotatore si muove in un elemento estraneo. Riuscire a nuotare in maniera corretta è una forma di conoscenza. Non si è più in balia dell’acqua, non si è più passivi.
Un’altra bella novità è il tour dei Massimo Volume nei teatri. Avevate la necessità di un ascolto più intimo, più raccolto?
Più che altro sentivamo l’esigenza di confrontarci con uno spazio diverso dal solito. Conosciamo i club, ci siamo sempre trovati bene, ma stavolta volevamo cominciare da un’altra parte, in un ambiente diverso. Lo stesso motivo che ci ha spinti a cambiare casa discografica e booking. Sono stati anni preziosi quelli con La Tempesta e la Bpm, ma avevamo bisogno di una ventata di novità attorno a noi.
Nel disco dici: ‘Senza il buio e il male il mondo non sarebbe più lo stesso’. Pensi sia inevitabile, nelle nostre vite, l’incertezza e il timore?
Più che inevitabile credo sia necessario. L’esperienza si accumula a partire dai conflitti. Per tanti il male rappresenta la forza dinamica del mondo. Non esistesse, dovremmo fare a meno della bellezza, della creatività. Avremmo un mondo probabilmente vuoto, anestetizzato. Rollerball parla di questo, di una realtà pacificata, senza più guerre né violenza. Eppure è un film estremamente pessimista.
Sono passati più di 25 anni. Cosa pensi possano rappresentare oggi i Massimo Volume?
Una voce tra le altre, come lo eravamo agli inizi della carriera. Non ci sentiamo i sopravvissuti di un mondo che non c’è più. Il nostro sguardo rimane fisso sul presente, anche se la lettura che ne facciamo risente delle esperienze fatte.