Le immagini di Hong Kong sono drammatiche e spesso di vere e proprie aggressioni, come l’ultima ai danni di un deputato pro Pechino. Le proteste iniziate il 9 giugno contro un emendamento alla legge sulle estradizioni, ufficialmente ritirata il 24 ottobre, si sono trasformate in un’opposizione all’ingerenza sempre più accentuata di Pechino nell’autonomia di Hong Kong. Sono ormai 23 le settimane di proteste e scontri. Dagli scontri sono centinaia i feriti e Pechino ha definito la condotta dei manifestanti di Hong Kong come terrorismo.
Ma cosa ha spinto i manifestanti a scendere in strada e quali sono le loro richieste? Le proteste partono dall’emendamento (poi ritirato) alla legge sull’estradizione e non rappresentano che un tassello di un più profondo attrito tra Hong Kong e Pechino in vista dell’avvicinarsi della data in cui l’autonomia di Hong Kong dalla Cina volgerà al termine. Nel 2047 Hong Kong cesserà infatti di avere standard politici, economici e istituzionali diversi e più autonomi rispetto al resto della Cina. E Pechino ha già dimostrato l’intenzione di erodere, anche se in modo quasi impercettibile, il grado di autonomia di Hong Kong.
E in questo clima si inserisce la politica estera degli Stati Uniti in quanto il paese ha preso una posizione chiaramente a sostegno dei manifestanti. Il vice presidente statunitense Mike Pence ha dichiarato che la reazione di Pechino alle proteste si intreccia con le difficili relazioni commerciali tra Stati Uniti e Cina che, da poco, hanno riaperto un dialogo per la risoluzione della guerra commerciale.