L'editoriale di Francesca Chiavacci
Sono tante le forme della violenza sulle donne. Per fermare gli abusi occorre parlarne più spesso che si può, non solo in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il 25 novembre. E in questa settimana saranno tante le manifestazioni e le occasioni di discussione organizzate, anche dai nostri circoli.
Evitiamo di fare una conta delle vittime, sono tante, troppe. Tre vittime a settimana, uno ogni sessanta ore. Anche in questo 2019 sono state uccise tante, tantissime donne. In delitti che spesso la cronaca definisce ancora come ‘passionali’, come se la passione e l’amore possano giustificare tanto. Non è amore, non è passione, chi fa questo è un criminale.
Bisogna imparare a parlare di femminicidio. Non solo i mezzi di comunicazione devono farlo. Dobbiamo farlo tutti: perché tutti siamo ormai, ognuno nel proprio ambito, coinvolti.
Vanno trovate le parole. Le parole, non si può che cominciare da qui, da un racconto troppo spesso alterato dall’idea stereotipata del rapporto uomo/donna che riporta al concetto di ‘naturale’, con quel malinteso atavico del concetto di natura: uomini forti e donne deboli, uomini predatori e donne prede. I rapporti umani sono fondati sulla cultura, sull’ educazione affettiva e non su ‘leggi naturali’. È un’eredità che riguarda tutti, e tutti siamo chiamati ad opporci.
Ci riguarda la violenza sulle donne non solo nei casi estremi, ma sempre. Tutte le volte che subiamo o agiamo in modo prevaricatore, quando assistiamo a gesti aggressivi, sempre. Ci riguarda e non possiamo ignorarlo. E questa attesa e nuova sensibilità avrà tanto più successo, quanti più uomini si sentiranno coinvolti da una simile ‘missione’.