Lasciate stare le sardine. In ogni senso, comunque la si pensi. Non adulatele, non inseguitele. Non meritano ovviamente gli insulti e le ironie sulla loro presunta impreparazione che piovono dalla parte politica a loro avversa, per altro non popolata da novelli De Gaulle, purtroppo. Ma neppure le attenzioni un po’ scivolose e ambigue di chi si ritrova nella loro contestazione a Matteo Salvini, come se queste adunate di piazza senza bandiere potessero ridare respiro e progetto laddove manca l’aria.
Era da tempo che le piazze e le strade non tornavano a parlare, a muoversi, a fare sentire la propria voce. Nell’epoca della politica virtuale e dei social, dove conta più un post furbo che un progetto di legge fatto bene, in quest’epoca dell’apparenza, ci eravamo quasi dimenticati della piazza come luogo simbolico. Del fatto che la politica può e deve essere anche fisica, assembramento di corpi, occupazione pacifica degli spazi, per farsi sentire.
A essere innaturale è stato il silenzio di questi ultimi anni, che è sembrato avvalorare l’idea di un Paese assuefatto e narcotizzato. Le sardine sono un primo segno di risveglio.
Lasciatele nuotare.