Recensione e consiglio della settimana
The Irishman è il film di gran lunga più atteso di questo inizio di stagione. Non farà i numeri del nono film di Quentin Tarantino e soprattutto non staccherà i biglietti di Joker. Ma l’uscita centellinata in poche sale per pochi giorni ha dato ottimi esiti commerciali in sala. Del resto, regista e attori sono icone del cinema degli ultimi 50 anni a partire dagli esordi nella cosiddetta New Hollywood. Cinque anni (5!) di lavorazione per The Irishman e alla fine Martin Scorsese e Robert De Niro sono riusciti a realizzare il film che volevano fare con i loro amici e colleghi.
Grazie al demonizzato Netflix che l’ha prodotto e che, stando solo alla scorsa stagione, va premiato per aver fatto la stessa operazione con titoli quali Roma, Leone d’Oro 2018, e Sulla mia pelle, il film sul caso Cucchi. Ora, The Irishman di Scorsese, che è un maestro del cinema e a 76 anni ha dichiarato che solo Netflix ha accettato di finanziare il progetto (160 milioni di dollari) lasciandogli totale libertà creativa. Punto, fine delle polemiche e della storia.
Il problema non è Netflix ma un sistema che ha bisogno di Netflix per produrre un film a Scorsese (Taxi Driver, Toro scatenato, Mean Street, Quei bravi ragazzi); comunque il capro espiatorio Netflix è già in ottima compagnia, Apple+ è approdata il 1^ novembre e Disney+ arriverà il 31 marzo 2020. Una menzione per la Cineteca di Bologna che lo distribuisce in lingua originale con sottotitoli; una vera chicca Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci che in qualche scena parlano in italiano.
In 210 minuti The Irishman narra la storia dell’irlandese Frank Sheeran (De Niro) che, da reduce della Seconda guerra mondiale in Italia prima e umile lavoratore negli Usa poi, diventa un killer per Russell Bufalino (Pesci) e stringe un rapporto di lavoro e amicizia con il famoso leader del sindacato degli autotrasportatori Jimmy Hoffa (Pacino), scomparso misteriosamente. Continuiamo a correre su una linea del tempo che va dagli anni 50 ai primi anni Duemila e viceversa, toccando i nervi scoperti degli omicidi politici degli anni Sessanta negli States e la crisi cubana. Gli attori se la sono cavata benissimo, perfettamente a loro agio nei sentieri selvaggi delle strade newyorkesi, a prescindere dalla tecnologia di ringiovanimento digitale utilizzata per togliere loro 30/40 anni nei flashback. Curiosità su De Niro e Pacino: pur essendo legati per tutti in modo indissolubile dal Padrino di Francis Ford Coppola, non hanno mai recitato nella stessa scena dello stesso film prima di Heat di Michael Mann (1995) e in The Irishman recuperano alla grande.
Il film si regge su diverse polarità: operai e datori di lavoro, potenti e deboli, poveri e ricchi, leader che fanno discorsi e massa che li ascolta, boss e sicari, battesimi e funerali, matrimoni e divorzi, giovani e vecchi, bambini e adulti, taxi e camion, mentore e protetto, tradito e traditore, bevitori e astemi, fumatori e non, puntuali che aspettano e ritardatari che si fanno aspettare, protezione e crudeltà, chi resta a piedi e chi sa far partire il motore, delinquenti e onesti, uomini e donne, bambini e adulti, Usa e Cuba, assassini e assassinati, soldi e onore, comandanti e comandati, giustizia e ingiustizia, regole e trasgressioni, peccato e redenzione, gelati e pesci sul sedile, angurie e vino rosso, bombe e pistole, minacce e vendette, arringa e regolamento di conti.
È il film del numero 2. Non c’è testa senza croce. C’è una cosa e il suo contrario. La contrapposizione è costante e netta. E poi il protagonista è Frank, quasi sempre il numero due: autista, collaboratore, protetto. I dialoghi lenti, a volte volutamente vuoti, assurdi, con un chiaro intento umoristico, si alternano a discorsi veloci, urlati, maniacali. Le inquadrature dall’alto verso il basso con un personaggio che sta sopra e l’altro sotto. Le simmetrie perfette; con gli elementi in equilibrio, finché dura.
Non sarà forse un capolavoro, ma The Irishman è cinema con la C maiuscola: è una goduria per cinefili di ogni età; si può apprezzare anche solo come un gangster movie con cui spesso il pubblico si diverte come con i film d’azione. Ma l’ultima opera che ci ha regalato il cineasta italoamericano andrebbe guardata tre o quattro volte per cogliere tutti i dettagli e farne un’analisi approfondita. Rivederlo, sì, meglio al cinema che a casa.
The Irishman è il C’era una volta a New York di Martin Scorsese? Forse, lo capiremo. Auguriamoci solo di vedere altri nuovi film firmati da lui. E certo è che un cerchio si chiude: il taxi giallo icona del suo film cult, Taxi Driver (1976), viene qui allegramente affondato e addirittura fatto esplodere.
Per la versione integrale della recensione: http://cinemaniaci.org/recensione-the-irishman/
L’articolo è stato pubblicato dal quotidiano La Libertà, che ringraziamo per la gentile concessione.