Un documentario di Steven Bognar e Julia Reichert (USA 2019)
Dayton, in Ohio, è un rilevante polo industriale specializzato nella produzione automobilistica. Come Detroit, anche questo centro ha risentito pesantemente della crisi dei motori e dell’indotto. È proprio una delle fabbriche dell’indotto, precisamente di parabrezza per auto, oggetto dell’analisi di Steven Bognar, Julia Reichert, registi di American Factory, disponibile in Italia sulla piattaforma Netflix con il titolo di Made in Usa – Una fabbrica in Ohio, vincitore dell’Academy Award 2020 come miglior documentario.
Lo stabilimento in questione, chiuso per via della crisi e con gli operai rimasti senza lavoro, viene acquisito da un imprenditore cinese che intende non solo far affluire capitali ma trasmettere anche i modelli produttivi e motivazionali del suo paese ai dipendenti statunitensi riassunti.
L’originalità del lavoro degli autori consiste nell’aver affrontato un tema molto dibattuto e analizzato, quello della crisi dei modelli produttivi capitalisti con tutto ciò che essa comporta in termini di perdita dell’impiego e ricaduta sui singoli individui, non in termini economici, ma di confronto tra due culture.
L’avvicinamento tra i due mondi avverrà attraverso reciproche visite nel due paesi: buffo al limite del grottesco l’episodio in cui alcuni dipendenti americani vengono spediti in Cina presso la casa madre dell’azienda a studiare i loro metodi motivazionali. Attoniti dall’inquadramento militare e dai riti con cui gli operai iniziano la loro giornata di lavoro, cercano di riprodurre il modello una volta tornati, con risultati esilaranti.
I dipendenti statunitensi della Fuyao Glass si trovano proiettati in un’ottica produttiva impensabile, con ritmi che sfiorano il disumano e totale chiusura nei confronti della sindacalizzazione, e tutto ciò proviene – ironicamente – da un paese comunista.
Ciò, tuttavia, li spingerà proprio a trovare un’unità attraverso la rivendicazione dei diritti sindacali.