Il programma di quest’anno è stato molto ricco. Si è passati dalla valorizzazione di nuovi registi a laboratori di formazione e informazione cinematografica. Si sono trattate diverse tematiche, come la rivalutazione della cultura cosiddetta ‘background’ e hip hop. C’è, però, un minimo comun denominatore con cui poter definire l’ultima edizione del Corto Dorico? C’è qualcosa che ha legato tutte queste iniziative collaterali?
«Inizialmente sono partito dall’ispirazione di Daniele Ciprì, con cui collaboro, dedicata all’immaginario. Da lì abbiamo cercato di coniugarlo nelle sue forme più varie, lavorando sul sociale e sulla formazione dei giovani. Abbiamo, quindi, cercato di unire attività e anime diverse tra loro all’interno di un unico festival. Seguendo sempre la linea guida dell’immaginario, abbiamo cercato di portare il cinema in diverse realtà, come si faceva una volta, con uno sgabello portato da casa. Il cinema come ricostruttore di un immaginario. Abbiamo voluto portarlo anche nei quartieri dove la gente normalmente non va in sala. Da lì, infatti, è nata la voglia di muovere un discorso più ancorato al sociale, usando anche il linguaggio delle comunità, dal rap all’hip hop e non solo».
Rispetto alle scorse edizioni cosa pensi ci sia stato in più?
«Beh, intanto spero di aver dato un senso a cose che già c’erano. Sicuramente una delle più grandi novità è stato il concorso di lungometraggi Salto in Lungo, finalizzato alla distribuzione. Parliamo di una sezione che già esisteva, ma che non aveva ancora trovato una sua vera identità. Da sempre Salto in Lungo dedicava uno sguardo ai nuovi autori del nostro cinema, personalità che venivano dal corto e che erano arrivate finalmente a fare la propria opera prima, pur non godendo però di una loro distribuzione. Alla Giuria Giovani, quella che decretava il vincitore tra i film in lizza, quest’anno ancora più forte delle scorse edizioni, ho voluto anche trasmettere l’idea del ‘sistema cinema’: cosa c’è dietro quest’arte? Gli studenti hanno cercato di scoprirlo, ragionando personalmente con gli esercenti. Parliamo, quindi, di un percorso a mio giudizio del tutto inedito. Abbiamo solidificato quel che già c’era e lo abbiamo implementato con nuovi elementi.
A scegliere i vincitori del concorso Salto in Lungo, come già hai anticipato, è stata un Giuria Giovane, guidata da circa cento studenti delle scuole superiori di Ancona, che quest’anno ha premiato Il vangelo secondo Mattei del duo Andrisani e Zullino. C’è una ragione dietro questa scelta? Che messaggio si voleva dare, offrendo a dei giovani un’opportunità simile?
«È stata una sfida anche per loro, sono il pubblico che si sta formando. Non è il semplice pubblico del presente, ma anche quello del futuro. Sono ragazzi che vanno al cinema e che non sempre vedono prodotti mainstream. Ne ho conosciuto per esempio uno che ama Ruggero Deodato, quest’anno nella nostra giuria ufficiale. Sono ragazzi curiosi e il mio scopo era quello di invogliarli ad assorbire immaginari che non conoscevano. Immettergli un germe creativo senza alcun paternalismo. Le loro sono state, infatti, scelte compiute in totale libertà, dopo aver anche conversato con i professionisti del settore. Delle vere e proprie occasioni di confronto e conversazione con chi fa cinema e con chi vive ogni giorno in questa industria. I ragazzi sono oggettivamente la voce e lo spazio di questo spettacolo. Oltretutto, considero fondamentale per un’arte come il cinema la libertà di poter scegliere».
Infatti quello su cui riflettevo è che per loro è stata una grande opportunità, ma anche una grande responsabilità. Il film vincitore del concorso viene anche distribuito con una piccola rete nazionale.
«Sì, la Regione Marche assieme a UCCA sosterrà il film assieme al denaro dato da Corto Dorico. La giuria è guidata da ragazzi e il lungometraggio ad aver vinto Salto in Lungo è un’opera scelta da dei ragazzi. Se ha convinto loro ed è arrivato a loro, bisogna assolutamente cercare di motivare il prodotto verso nuovi orizzonti».
Qual è il grande proposito per il prossimo anno? A cosa vuole arrivare il Corto Dorico?
«Secondo me, deve costruire sulla base di quello che quest’anno si è messo insieme. Ogni anno Corto Dorico è stato un crescere, un maturare, un dare senso alle cose che si fanno.
Un festival esiste perché ha un senso. Compie delle azioni, crea dei progetti che creano senso e propagano un senso. Per cui lo scopo è continuare a costruire su quello che abbiamo, man mano, consolidato. Secondo me un festival, qualsiasi festival, deve proseguire in questa direzione. Le cose si sono strutturate bene, ora bisogna crescere ancor di più. Ingmar Bergman diceva: «Non c’è io senza tu». Dietro a me e Ciprì, esiste un gruppo di persone senza cui tutto questo non sarebbe possibile. Senza quel gruppo non esisterebbe questo festival. Il Corto Dorico esiste soltanto perché esiste un gruppo, che va al di là di me, dei miei gusti e delle mie scelte. Noi seminiamo dei pensieri, ma il gruppo è quello che ne dà davvero un senso».