L’inizio del nuovo anno, dopo le feste natalizie segnate da zone rosse e divieti anti-Covid che non hanno impedito assembramenti e situazioni di rischio, avrebbe dovuto portare al ritorno in aula degli studenti delle scuole superiori. In sicurezza, come era stato più volte assicurato dal governo.
Così non è stato e, dopo più di due mesi di lezioni da casa, gli unici a rientrare in classe al 50% in presenza sono al momento solo i ragazzi delle scuole superiori di Toscana, Abruzzo e Valle d’Aosta. Nel resto del paese sono invece riprese le mobilitazioni per chiedere che l’apertura delle scuole sia veramente una priorità.
Finora l’anno scolastico in presenza dei ragazzi delle superiori, oltre due milioni e mezzo in tutta Italia, è durato circa un mese e mezzo: da metà settembre a fine ottobre quando la curva del virus ha iniziato a rialzarsi e gli studenti sono stati rimandati a casa e affidati alla Didattica a distanza.
Una situazione preoccupante per le conseguenze negative che si stanno abbattendo su un’intera generazione di ragazzi e ragazze in una delle fasi più delicate della loro crescita, che colpisce la socialità degli studenti, essenziale e già fortemente limitata negli ultimi mesi, e che rischia di causare un’ulteriore impennata della dispersione scolastica e del record negativo del nostro paese in Europa (le stime parlano di 34mila studenti che abbandoneranno gli studi quest’anno).
Di fronte a questo quadro gli studenti, e non solo, sono disorientati e arrabbiati, si sentono non considerati e presi in giro. Non è forse un caso che nelle ultime settimane da una parte abbiamo visto crescere la mobilitazione e le proteste dei ragazzi per chiedere di poter tornare nelle aule scolastiche e dall’altra abbiamo assistito a una serie di episodi di trasgressione programmata e violenta, una catena di risse tra giovani e giovanissimi in molte città italiane, a partire da Roma.
Certo il rinvio del ritorno sui banchi alle superiori, in date che ad oggi vanno dal 18 gennaio al 1 febbraio, è stato deciso per la ripresa dei contagi, con l’indice Rt in rialzo e le previsioni non certo rassicuranti per le prossime settimane. Ma è altrettanto vero che il tema della scuola in presenza non può essere lasciato nell’incertezza come fatto finora.
A differenza di quanto avvenuto in molti altri paesi europei, alle prese anche loro con la pandemia e con numeri simili ai nostri, in Italia è mancata in questi mesi una presa in carico e una gestione del ‘problema scuola’ da parte della politica e del governo ai suoi massimi livelli.
È mancata da subito una strategia per affrontare un’emergenza sanitaria che era prevedibile avrebbe comportato restrizioni per tutta la durata dell’anno scolastico. Si è invece andati avanti nell’incertezza, parlando del ritorno a scuola per poi essere smentiti dai fatti, perché non era garantita la sicurezza.
Quello che serve sono invece delle certezze per la scuola, così come sono tornati a chiedere studenti, insegnanti e famiglie con le mobilitazioni in programma in questi giorni. Non si può tenere aperto tutto, hanno sottolineato, mentre la scuola resta sempre chiusa, da ormai un anno.
Siamo vicini alla loro protesta perché la scuola riguarda tutti e non può essere dimenticata ancora una volta. Le prime cose da fare le conosciamo: finanziare la scuola perché possa avere più spazi e più personale, inserire come categoria prioritaria il personale scolastico nell’agenda vaccinale, programmare il ritorno in aula degli studenti in sicurezza, ipotizzando magari una rotazione tra lezioni in presenza e Dad. Ma non c’è tempo da perdere, perché senza scuola non c’è futuro.