ROMA, 16 FEBBRAIO 2022 – Il referendum sull’eutanasia non è ammissibile. Secondo la Corte Costituzionale il quesito non rispecchia i diritti minimi iscritti nella Costituzione: si parla non di “suicidio assistito”, ma di “omicidio del consenziente”; un’abrogazione anche parziale del reato avrebbe potuto dare il via ad esiti inaccettabili.
In attesa di leggere il testo integrale della sentenza, c’è una responsabilità su cui vogliamo richiamare l’attenzione ed a cui la politica non può sottrarsi.
Nell’estate 2021 il referendum ha raccolto le firme di oltre 1,2 milioni di persone, in una mobilitazione straordinaria, del tutto atipica in quanto priva di campagne promozionali massive e retta sulle gambe dei soli volontari dell’Associazione Luca Coscioni e delle altre associazioni impegnate nelle battaglie di diritto, una mobilitazione fatta nelle piazze e condotta con il passaparola.
Una mobilitazione senza precedenti che segnala una presa di coscienza nuova nel sentire diffuso del paese, che per la prima volta in tema di fine vita chiede diritti certi e l’urgenza di restituire dignità alla morte, la stessa dignità che ciascun essere umano rivendica per la propria vita.
Una mobilitazione che non può rimanere inascoltata, nascosta tra le pieghe di una sentenza di inammissibilità, ma che chiama a responsabilità la politica rispetto ad un’azione legislativa a cui a lungo si è sottratta.
Abbiamo un vuoto normativo da colmare sui temi del fine vita: l’ultima novità risale al 2017, all’introduzione delle Dichiarazioni Anticipate di trattamento (DAT). Ci sono, però, decenni di proposte di legge rimaste a giacere in qualche commissione, non ultima la proposta di legge sul suicidio assistito, arrivata in discussione lo scorso dicembre in un’aula quasi deserta.
Si può ripartire da lì, proprio dalla proposta di legge sul suicidio assistito, già oggetto di un lavoro di concertazione con le diverse forze politiche e rimandata ai primi mesi del 2021 per le votazioni. Una proposta di legge costruita proprio sulla strada tracciata dalla Corte Costituzionale, chiamata a esprimersi a seguito del processo condotto contro Marco Cappato per l’aiuto fornito a DJ Fabo. In quell’occasione la Corte Costituzionale segnò un passaggio centrale, andando ad individuare i casi di non punibilità rispetto all’applicazione dell’ art. 580 del codice penale che vieta il suicidio assistito ed invitò il Parlamento a legiferare, invito rimasto disatteso.
Chiediamo alla politica di assumersi pienamente il ruolo che le compete, tornando a legiferare ed aprendo un dibattito pubblico sui temi del fine vita, un dibattito profondamente ancorato al principio di laicità dello stato e non divisivo, che sgombri il campo da derive oscurantiste o da facili strumentalizzazioni.
Un dibattito pubblico che sappia guardare alla certezza del diritto ed al paese, che già guarda al domani e che con le oltre 1,2 milioni di firme raggiunte in poco più di 3 mesi lo ha ben dimostrato.
Troppo spesso nel nostro paese la strada dei diritti è stata costruita nelle aule dei tribunali, con sentenze che hanno fatto la storia e che hanno costituito le basi per rivendicazioni individuali e collettive. Ogniqualvolta un’aula del tribunale compie un passo avanti rispetto alla certezza del diritto, è certamente una conquista, ma rappresenta anche il fallimento di una politica che abdica al proprio ruolo e si dimostra incapace di dare voce e rappresentanza ai temi ed alle priorità che il paese pone all’ordine del giorno.