Il documento dell’Arci
L’imminente scadenza referendaria su temi cruciali dell’amministrazione della giustizia, ci consente di approfondire e rilanciare una ampia riflessione sui temi della giustizia, di quale giustizia, della tutela dei diritti dei soggetti più fragili e marginali ma soprattutto sul sistema sanzionatorio.
Il tema delle vecchie e nuove diseguaglianze deve essere affrontato anche sul terreno della penalità vale a dire in quel campo dell’esperienza giuridica che sperimenta la sanzione dell’esclusione dalla società e che corre il rischio di assumere sempre più marcatamente la fisionomia di strumento di lotta ai poveri ed ai soggetti marginali.
Diventa centrale riuscire a comprendere e definire il complesso rapporto tra democrazia, principio di legalità, uguaglianza e garantismo penale.
Da anni se non da decenni si dibatte su varie ipotesi di riforma del sistema di amministrazione della giustizia, soprattutto quella penale, sulla piena aderenza alle tutele ed alle garanzie previste dalla carta costituzionale, sul tema dell’uguaglianza, sulla dimensione sanzionatoria e sui percorsi dell’esecuzione penale.
Quella che si è venuta a delineare negli anni invece è una cultura della punizione e della vendetta, si è costruito nell’immaginario collettivo una identificazione ed una sovrapposizione fra pena e privazione della libertà come momento anche catartico verso quanti rompono il patto sociale.
Quasi a voler delegare all’istituzione totale carcere la complessità e la criticità delle nostre più laceranti emergenze e contraddizioni sociali.
Infatti la rappresentazione della composizione sociale della popolazione detenuta nella media sicurezza, la stragrande maggioranza dei detenuti ospiti negli istituti penitenziari italiani, rafforza questi pensieri. Oltre un terzo è costituito da cittadini stranieri, un ulteriore abbondante terzo da persone con problematiche collegate all’abuso di droghe, il resto da soggetti di varia marginalità, persone espulse da contesti sociali o familiari o con gravi problemi di salute mentale.
Ad esempio il tossicodipendente non dovrebbe essere preso in considerazione dal diritto penale. La condotta del consumatore è sanzionata soltanto a livello amministrativo. Eppure vengono costruiti tanti e tali rilievi che diviene pressoché impossibile nel nostro ordinamento essere tossicodipendente, dunque soggetto di cui prendersi cura dal punto di vista sanitario e psicologico, senza essere anche un delinquente od un criminale con contestuale risposta che invece di muoversi sul piano della cura si struttura in termini di pena, ulteriore esclusione, ulteriore marginalizzazione.
La giurisdizione dunque non mitiga ma al contrario rafforza le differenze di condizione economico-sociale tra gli uomini traducendole anche in differenze di accesso all’ordinamento ed al processo.
Le persone economicamente attrezzate hanno la possibilità di attivare un ampio spettro di risorse processuali soprattutto in fase dibattimentale, ai poveri non rimangono che i riti alternativi e le difese d’ufficio.
Si tratta dunque di assumere la complessità della questione giudiziaria, di rilanciare una cultura progressista e garantista del diritto, soprattutto quello penale, di tutelare ed ampliare, accanto ai diritti collettivi, i diritti fondamentali delle persone, soprattutto quelle più fragili e meno rappresentate, di aprire con forza una profonda riflessione sul sistema penitenziario e sull’esecuzione penale nel nostro Paese.
Oggi è più che mai necessario rimettere al centro del dibattito pubblico una visione garantista della giustizia penale, avendo la consapevolezza di quanto, per dirla con Montesquieu, il potere giudiziario sia di per se un “potere terribile”, che decide della libertà e della vita stessa delle persone e mutuando quel che la cultura giuridica di sinistra, il movimento femminista, la cultura libertaria e anti-autoritaria hanno fatto nella seconda metà degli anni ’70 battendosi contro la legislazione emergenziale.
Quelle leggi emergenziali hanno indebolito ulteriormente il sistema delle garanzie processuali e successivamente, dopo il ’92, l’abuso della carcerazione preventiva, la deriva giustizialista, si è determinato uno scontro tra poteri dello Stato senza precedenti nella storia repubblicana, che va affrontato con serietà e rispettando la divisione dei poteri.
Per questo discutere di riforma del sistema giudiziario, di giustizia giusta, di garanzie penali, diventa decisivo per la democrazia, per la sinistra ed anche per un’organizzazione come la nostra.
Siamo consapevoli che la vastità e la criticità dei temi difficilmente possono essere rappresentati nello schema dei quesiti referendari anche se rilanciano importanti sollecitazioni.
Ciascuno di noi con consapevolezza, libertà ed autonomia il 12 giugno si rapporterà alla votazione referendaria seguendo il proprio sentire e le modalità che riterrà più opportune.
L’Arci impegna l’Associazione a dare centralità e priorità ad una riflessione politica e culturale sui temi della giustizia, delle garanzie e dei diritti dei cittadini e soprattutto sul sistema penitenziario nel nostro Paese maturando proposte ed azioni che possano realmente contribuire ad una profonda riflessione sul senso della pena, di quale pena e per chi.