Roald Dahl è stato uno dei più grandi scrittori di letteratura per l’infanzia.
La sua incredibile e insuperabile caratteristica è stata quella di avere scritto storie ribaltando la narrazione tipica dei libri per bambine e bambini, intesi come spazio per l’educazione etico-morale dei più piccoli.
All’interno dei libri di Dahl le bambine e i bambini non sono piccoli protagonisti di storie edificanti, ma sono invece gli attori di un mondo spesso immaginario ma molto più vero di quello delle fiabe edificanti: è infatti il loro punto di vista, le loro fantasie, le loro paure, il loro realismo magico quello che guida la narrazione.
Ecco quindi che maestre, vicine di casa e zie possono (anzi, probabilmente sono) delle streghe travestite, ecco che nel GGG gli incubi notturni si concretizzano nella ripugnanza dell’inghiotticicciaviva, ecco che la scuola è un luogo violento e dove gli adulti esercitano il potere sui bambini e bambine, ecco che la famiglia può essere anche un luogo orrendo dove crescere, come nel caso di Matilde, ecco che la lotta di classe si esprime nella battaglia pericolosa e notturna tra un papà cacciatore di frodo e un proprietario terriero.
Ed ecco, infine, un mondo dove i ricchi pensano di poter comprare tutti i biglietti d’oro, e dove invece arriva un piccolo bambino poverissimo, che con la sua gentilezza e il suo rispetto conquista il cuore dell’improbabile Willy Wonka, che punisce bambine e bambini borghesi e viziati nel peggiore dei modi.
Questo è il senso, il valore, la bellezza, la profondità, la rivoluzione delle storie di Roald Dahl.
Per raccontare tutto questo, Dahl – che era nato nel 1916 ed era un uomo bianco, eterosessuale e parecchio misogino, a quanto si dice – ha scelto di utilizzare anche tonnellate di stereotipi.
L’orribile Augustus Bloom, che per primo finisce espulso dalla fabbrica di cioccolato, ad esempio, è un bambino grasso e sudato, e Dahl non fa che ripeterlo.
In quel momento – era il 1964 – un bambino pingue aiutava a raccontare il mondo dei ricchi, caratterizzato dall’ingordigia, non solo alimentare.
Dahl utilizza a piene mani lo stereotipo proprio perché gli serve per segnare la distanza tra il bambino borghese e viziato, e il poverissimo Charlie Buckett, magro come il suo magrissimo nonno e tutta la sua magrissima famiglia, che mangia zuppa di rape tutti i giorni.
Di altri esempi come questo, la bibliografia di Roald Dahl è piena, e non è soltanto una questione di sensibilità storicamente aggiornata (e che è già stata oggetto di riscritture, come nel caso dei “piccoli negri” presenti in un altro capolavoro, precedente di una ventina di anni rispetto alla produzione dello scrittore inglese, come Pippi calzelunghe di Astrid Lindgren). Si tratta, nel caso di Dahl, di una violenza descrittiva che caratterizza quello che adesso definiremmo una modalità “politically scorrect”, e che è una delle caratteristiche principali della sua letteratura.
Ecco allora che il caso sollevato dalla riscrittura di alcune parti dei libri di Dahl da parte della casa editrice inglese Puffin merita una riflessione tutt’altro che superficiale.
Perché il punto non è e non può essere la lesa maestà della riscrittura, l’immodificabilità dei testi. Il punto è piuttosto su quale aspetto dei testi e delle narrazioni vada ad incidere un’eventuale riscrittura.
Se Augustus Bloom non è più un bambino grasso e sudato, la riscrittura permette alla piccola lettrice o lettore di individuarlo comunque come personaggio profondamente negativo proprio per questa sua ingordigia a tutto tondo, tanto quanto nella prima versione? Di sentirsi lontano da lui in quanto emblema dell’arroganza e del vizio borghese?
Se si, è davvero necessario e fondamentale difendere il fatto che Augustus Bloop sia grasso?
Il rischio, ovviamente, è che invece non sia così.
Che nella riscrittura si perda il conflitto sociale, l’onesta cattiveria e la profonda rabbia dei bambini che Dahl ha saputo rendere così centrale.
Ma attenzione: prima della Puffin, questa operazione è stata già fatta, quando dai libri di Dahl sono stati estratti superficialissimi musical e patinatissimi film.
Difendere il diritto delle bambine e bambini di immedesimarsi in narrazioni scomode agli adulti non significa gridare alla lesa maestà, quanto piuttosto lavorare per conservare uno spazio di cultura quotidiano dedicato ai più piccoli, e non all’idea che gli adulti hanno di loro.