Mentre scriviamo, l’avvocato Giuseppe Conte, designato dal Presidente della Repubblica come Presidente del Consiglio, sta procedendo alle consultazioni dei partiti per la formazione del Governo e della lista dei ministri. Preceduto da rivelazioni relative al proprio curriculum e a trascorse pendenze con il fisco, si è definito «avvocato difensore del popolo italiano» ed è la figura di garanzia del patto Lega – M5s, che dovrà dare attuazione al ‘contratto’ stilato dalle due forze politiche.
Per questo, il suo discorso non ha fatto altro che confermare i nostri timori già espressi a proposito del contratto. Perché a noi pare che le linee lì contenute difendano i più forti e discriminino i più deboli e i migranti. E, alla luce di queste premesse, l’uso dell’espressione ‘avvocato difensore’ ci sembra molto infelice. Soprattutto perché suona molto mistificatoria, come lo stesso contratto.
Infatti, al di là di parti che, se sviluppate nella giusta direzione, potrebbero risultare a prima vista interessanti – dal tema delle pensioni, a quello dell’ambiente e dell’acqua pubblica – questo ‘contratto’ non delinea un disegno complessivo volto al superamento delle crescenti diseguaglianze, alla tutela dei diritti, alla conquista di una piena dignità del lavoro, alla costruzione di un nuovo futuro. Anzi. Dietro roboanti promesse di cambiamento, si celano, e nemmeno più di tanto, istinti di chiusura, contrapposizioni tra chi è in sofferenza, assenza di una visione solidaristica. Alla base di questo contratto è forte l’impronta di una cultura xenofoba e razzista. Si propongono misure che sono in evidente contraddizione tra loro. Come (e con quali risorse) si può pensare di finanziare un reddito di cittadinanza, sulla cui utilità già ci sarebbe da discutere, se al contempo si punta ad instaurare una flat tax, cavallo di battaglia di tutte le destre a livello mondiale, che abbassa enormemente il livello delle entrate fiscali e soprattutto viola il principio di progressività del sistema tributario dettato dalla nostra Costituzione? È evidente che così sarà messa a repentaglio l’esistenza stessa dello Stato sociale e si negheranno come valori fondanti i principi di libertà e di uguaglianza contenuti nell’articolo 3 della Carta. Il ‘contratto’, poi, è caratterizzato da misure securitarie che si rivolgono in particolare contro i migranti, ma non solo. Basti pensare all’abrogazione del principio di simmetria tra difesa e offesa, legata ai reati contro la proprietà privata, o all’abolizione delle misure alternative al carcere. Si vogliono chiudere i campi rom senza proporre alcuna soluzione abitativa alternativa, togliere addirittura la patria potestà ai genitori di bambini che non frequentano la scuola. Promettendo l’espulsione di 500mila persone, si propagandano norme più cogenti sui rimpatri, sulle espulsioni anche dei richiedenti asilo, con l’aumento dei centri di detenzione.
Alla cultura è dedicato un breve paragrafo, in cui, al di là delle dichiarazioni generiche, non c’è niente sulla necessità di adottare misure che ne facilitino l’accesso o sul sostegno a pratiche che mirano a renderla sempre più diffusa e fruibile da tutti.
Si va insomma in una direzione che non ci piace, che non dà risposte ai guasti prodotti dall’egemonia neoliberista. Piuttosto si rischia di continuare a fomentare le paure e la precarietà che quell’egemonia ha fatto crescere a dismisura. Si premiano i più forti, i ceti benestanti, gli uomini, naturalmente i ‘nostri’, cioè quelli di pelle bianca e nati nel nostro Paese.
Attendiamo la composizione del Governo e i provvedimenti concreti che realizzerà. Ma questi primi passi non fanno ben sperare. Possiamo già immaginare che ci attendono mesi di lavoro, di battaglie da condurre.
Perché questo paese, per uscire dalla crisi, ha bisogno di risposte diverse, di carattere progressista e solidarietà.
Il vero cambiamento passa da qui.