Quale percorso unitario dopo la straordinaria manifestazione del 7 ottobre?
Nel corso della seduta del Consiglio nazionale di venerdì 24 e sabato 25 novembre a Roma ci sono stati due momenti tematici fortemente voluti dall’Arci: uno dedicato alla violenza di genere, cogliendo la concomitanza con la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, l’altro dedicato ad un momento di riflessione associativa, con importanti contributi esterni di esponenti della società civile, dedicato allo straordinario risultato della manifestazione La Via Maestra del 7 ottobre scorso e al proseguimento di quel cammino che ha riacceso molte speranze.
‘Avanti tutta sulla Via Maestra! Quale percorso unitario dopo la straordinaria manifestazione del 7 ottobre?’ ha visto gli interventi di Walter Massa, presidente nazionale Arci, Rossella Miccio, presidente di Emergency, Stefano Tassinari, vicepresidente nazionale ACLI, Rosa Fioravante, segretaria nazionale ADI (Associazione Dottorandi e Dottori di ricerca in Italia), Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, e Maurizio Landini, segretario generale CGIL.
Un percorso che proseguirà, come sottolineato dai promotori della manifestazione del 7 ottobre, per aprirsi ad altri soggetti che hanno a cuore la costruzione di un fronte comune per dare risposte alle troppe persone impaurite e frustrate, che spesso non hanno neanche il coraggio di alzare la testa per difendere i propri diritti. Per ricercare il massimo delle convergenze possibili, perché da solo non si salva nessuno, per dimostrare che esiste un’alternativa di società che può essere realizzata e che i diritti, come il sistema tende a farci credere, non sono in competizione uno con l’altro – lavoro e ambiente, migranti e nativi, giovani e anziani, lavoratori precari e garantiti – ma invece si tengono tutti. Un percorso per difendere la Costituzione dagli stravolgimenti della maggioranza, vedi autonomia differenziata e riforma del premierato, senza dimenticare il tema della pace.
Per questo si sono costituiti tre gruppi di lavoro permanenti su tre grandi questioni:
– ambiente lavoro;
– welfare e diritti;
– democrazia, istituzioni e informazione.
Inoltre, all’inizio del prossimo anno, ci sarà un’assemblea dei promotori e dei comitati locali della Via Maestra, un’ulteriore tappa di un percorso che deve assolutamente realizzarsi nei territori, riuscendo ad includere altri attori oltre ai promotori nazionali, per sensibilizzare e dare visibilità alle tantissime vertenze locali e per realizzare percorsi di pratiche sociali.
“Il percorso del 7 ottobre – ha evidenziato Walter Massa, presidente nazionale Arci – prosegue a partire da una cosa che unisce associazioni e sindacato: la necessità di difendere fortemente insieme il ruolo dei corpi intermedi. Una democrazia che li umilia e gli toglie spazio, come abbiamo visto in occasione dello sciopero generale, è una democrazia monca. Per questo la difesa dei corpi intermedi e del nostro ruolo come produttori di partecipazione è assolutamente una delle priorità.
Ma il percorso futuro deve anche vedere il tema della pace come sfondo imprescindibile, un tema che non può essere un’appendice del nostro lavoro dentro il percorso della Via Maestra.
Dobbiamo riappropriarci della politica, difendere lo spazio di agibilità della politica che le cittadine e i cittadini in questo paese hanno come diritto e anche come dovere, difendere lo spazio civico, l’art. 18 della Costituzione sulla libertà di associazione, per noi fondamentale.
Come Arci abbiamo condiviso la piattaforma della Via Maestra e abbiamo portato in quella piattaforma quello che facciamo, quello che vogliamo continuare ad essere in un lavoro di cura e di prossimità delle nostre comunità territoriali, in un paese fondato sempre più sulle disuguaglianze e sulla precarietà e con i territori sempre meno pronti ad affrontare i bisogni delle persone.
Siamo orgogliosi di questo percorso e riconoscenti al sindacato perché si è rimessa in moto l’opposizione sociale per ridare voce alla maggioranza del paese”.
Di pace e diritti ha parlato anche Rossella Miccio, presidente di Emergency. “Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina – ha ricordato – ci siamo ritrovati insieme perché c’era bisogno di tornare a fare rete, a mobilitarci per la pace che sembrava un po’ in disuso. Abbiamo avuto un anno in cui si è parlato del conflitto in Ucraina dimenticando tutti gli altri, a partire dal Sudan ripiombato dall’aprile di quest’anno in una guerra che, nel silenzio generale dei media e della politica, ha causato ad oggi oltre 6 milioni di sfollati, 1 milione di profughi nei paesi limitrofi, che non sono certo i più ricchi del mondo, oltre ad un numero imprecisato di morti e feriti. L’ennesima conseguenza sarà l’aumento dei flussi migratori illegali, perché le vie legali per poter scappare dalle guerre non esistono più, alimentando questo circolo vizioso di un collegamento unico tra tutti i diritti e le problematiche che ci troviamo ad affrontare. Dobbiamo mantenere un approccio olistico, che tiene un po’ insieme tutto, perché una vera politica per la pace passa sicuramente attraverso l’abolizione della guerra, come dimostrano le notizie da Gaza e in giro per il mondo. Lo strumento guerra va cancellato dalla storia dell’umanità ma contemporaneamente vanno costruiti i diritti, come ci ricordano la nostra Costituzione la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Un impegno sempre più oneroso per un disfacimento continuo di quelli che consideravamo dei diritti inviolabili su cui non si sarebbe mai più tornato a discutere, a partire dal rispetto dei principi umanitari. Con il Covid sembrava ci fossimo convinti che bisognasse prendersi cura dei più vulnerabili per riuscire ad essere una società più equa, più giusta e anche più florida e invece, passata l’emergenza, siamo tornati a discriminare e ad escludere. Dobbiamo ripartire dai territori e riappropriarci del senso di cittadinanza attiva di fronte a chi ci vuol far credere che non abbia più senso essere cittadini che si impegnano per migliorare le nostre comunità e di conseguenza il contesto in cui viviamo”.
“Purtroppo – ha affermato nel suo intervento Stefano Tassinari, vicepresidente nazionale Acli – siamo in una società che negli ultimi decenni ha strutturato un modo di stare insieme mettendo gli uni contro gli altri. Si sta insieme dividendosi. Abbiamo strutturato una società basata sulle disuguaglianze, sulle logiche thatcheriane, dove la società non esiste ma esistono solo le singole persone. Il disegno della nostra Costituzione è però molto diverso. Per questo dobbiamo riportare la Costituzione tra i cittadini, allargare il campo di chi vuole riprendere in mano la Costituzione non come mera forma ma come disegno strategico, come democrazia materiale che si basa sui diritti, sui doveri, sulla redistribuzione dei redditi e della ricchezza, sulla rianimazione dei territori. Fondamentale anche il tema della pace che in questo momento storico è la riduzione del danno. Non si arriverà mai alla giustizia se prima non c’è la pace perché la guerra crea ulteriori ingiustizie, terrorismo, dimensioni di criminalità. Solo realizzando la pace si potrà costruire qualcosa, senza invece non si costruisce nulla”.
Alla riflessione sul percorso del dopo 7 ottobre ha contribuito anche Rosa Fioravante, segretaria nazionale ADI, (Associazione Dottorandi e Dottori di ricerca in Italia). “Siamo sotto ricatto – ha denunciato nel suo intervento – un ricatto che non riguarda solo il mondo della ricerca e dell’università a cui è stato detto: o la borsa o la vita. Non ce l’ha detto un malintenzionato incontrato per strada ma il governo: o accettate di lavorare con delle borse di ricerca che sono delle condizioni ancora peggiorative rispetto a quegli assegni che sono stati condannati dall’Europa – e quindi rinunciate alle vostre rivendicazioni sul contratto, sui diritti e sulle tutele per i ricercatori precari – oppure noi espelliamo metà di voi dall’accademia. E’ un ricatto classico che si fa a coloro che lavorano nel mondo culturale, il ricatto che noi chiamiamo la trappola della passione. Ti viene detto siccome fai un lavoro che ti piace allora va bene farlo con delle condizioni discontinue, senza pagare l’Irpef, senza le dovute tutele e previdenze. Una condizione che è l’emblema di una delle tante contraddizioni del governo: siamo tra le persone più titolate e qualificate del paese eppure viviamo in condizioni sostanziali di lavoro povero, gratuito, precario, in condizioni di salute mentale preoccupanti (la metà di noi soffre costantemente di disturbi di ansia e depressione). Allora stai dicendo che non crei una società sul merito, che tanto si propaganda, ma crei una società fondata su una odiosa torsione classista. La precarietà della ricerca deve interessare tutti ed è importante anche per il percorso della Via Maestra perché non è un caso che ci venga detto che la coperta è corta e le risorse scarse, come per qualunque altro capitolo di spesa sul welfare, ma perché in realtà è intenzionale il posizionare il nostro paese in quella parte delle catene globali del valore in cui si compete al ribasso sulle condizioni dei lavoratori e dei salari e non in quella parte delle catene globali del valore che provano ad investire al rialzo, sull’innovazione e sulla ricerca. Senza dimenticare che la precarietà è la causa principale della ricattabilità e della scarsa qualità della ricerca, ed è con questo approccio che ci stiamo confrontando con sfide come il cambiamento climatico, l’etica dell’intelligenza artificiale, il futuro della bioetica e con tutte quelle che sono le sfide epocali”.
Per Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, “è necessario ricucire il paese e dire con forza no all’autonomia differenziata e al tentativo di stravolgimento della Costituzione con la riforma del premierato che vuole portare avanti la maggioranza, una riforma che che ridimensiona nettamente il ruolo del Presidente della Repubblica e del Parlamento, tutto a vantaggio del capo del governo. Se si parla di governabilità si deve metter mano e cambiare il sistema elettorale, non c’entra nulla la Costituzione.
Sul tema dello stravolgimento della Costituzione credo dobbiamo avere molto ben presente che la questione sia come trasformare questa rete, se sarà necessario, in un comitato referendario. A questo si aggiungono le questioni sociali aperte, a partire dalla sanità, sia nelle regioni dove funziona meglio che in quelle dove le cose vanno peggio: dai problemi dei pronto soccorso alla mancanza di medici, infermieri e risorse. Senza dimenticare i tagli agli enti locali e l’emergenza casa, diventata dirompente nelle città”.
A chiudere gli interventi sul percorso del dopo 7 ottobre è stato Maurizio Landini, segretario generale della Cgil. “Credo sia molto utile questa riflessione comune – ha affermato – per valorizzare quello che è stato fatto e per discutere, ragionare su quello che dobbiamo fare e come farlo. Aprirsi alle associazioni per il sindacato non è stato un gesto altruistico ma un ragionamento che parte dalla necessità di un cambiamento della Cgil e parte dalla necessità dello stesso sindacato confederale che se non cambia rischia di non avere un futuro. Abbiamo scelto di aprirci e di costruire con il mondo associativo un rapporto non episodico ma strutturale, frutto di una scelta che al suo interno ha l’idea di come si riforma e cambia anche l’organizzazione sindacale in un momento in cui c’è bisogno di una ricostruzione di una democrazia partecipata sul serio, cosa che oggi non è.
Il tema da cui partire è quello di cosa è diventato e cos’è oggi il lavoro e cos’è la precarietà, che risponde ad una logica e ad un obiettivo preciso: quello di rendere totalmente subalterno all’impresa il lavoro. Il livello precarietà che si è determinato oggi, in Italia e non solo, non ha paragoni con il passato e non è avvenuto per caso.
Anzi la precarietà è stata una condizione in certe fasi della nostra storia che il sistema delle imprese ha pensato fosse una condizione strutturale per definire un nuovo modello di sviluppo. Dagli anni ‘80 in poi si è iniziato a dividere il mondo del lavoro tra garantiti e no, e l’esito di questo processo è che oggi c’è un livello di precarietà nel lavoro e di riduzione dei diritti senza precedenti.
Penso che questo sia il tema: ripartire dal lavoro, rimettere al centro la persona, il lavoro e la qualità del lavoro, cosa produci e con quale sostenibilità. Non è un tema sindacale ma una questione politica di prima grandezza, l’elemento su cui ricostituire anche l’unità del mondo sociale”.