Il 20 dicembre c’è un appuntamento tra la Casa Internazionale delle donne e il Comune di Roma.
Un tavolo tecnico per affrontare il contenzioso che si è aperto, con la richiesta da parte del Comune, di rientrare del debito accumulato dalla Casa. L’appuntamento è il primo risultato della straordinaria mobilitazione che si è creata intorno a queste sede storica del movimento e del femminismo in Italia. Una mobilitazione culminata nella incredibile assemblea dello scorso lunedì 13 novembre. Una gran folla di donne di tutte le età, per dire ‘tuttesiamolacasa’. Anche alcuni uomini per la verità, consapevoli delle ricchezza culturale e politica che la Casa mette in circolo.
È un gran bel posto, la Casa Internazionale delle donne. Ora che il Comune di Roma chiede gli arretrati degli affitti non pagati, circa 800mila euro, questa bellezza sembra una colpa. La peggiore, in questi tempi rancorosi e sospettosi. Perché quelle donne, quelle signore devono avere a disposizione quel bel palazzo, senza pagare nulla?
Allora serve avere qualche informazione, e capire perché tutta Italia, a partire dalla presidente della Camera Laura Boldrini, si è mobilitata, per sostenere che quella deve continuare a essere la Casa delle donne.
Tutto comincia con un’occupazione. Era il 1983. L’idea era che nella città degli uomini ci voleva un posto dove le donne fossero a casa. Il Buon pastore era un edificio abbandonato. Nel 1985 una delibera del Comune stabilì che l’edificio sarebbe stato destinato alle attività delle donne.
Nel 1999 ci fu la convenzione, sindaco Rutelli, e il palazzo venne restaurato dal Comune con i fondi del Giubileo. Successivamente, con la giunta Veltroni, nel 2003, si fece un accordo sul debito, che è composto di varie parti. Quello dovuto degli anni delle occupazioni, è stato pagato in buona parte. La quota relativa agli anni dal 1995 al 2003, è coperta circa per la metà. C’è poi l’affitto, 87mila euro all’anno. È facile fare i conti. Quest’anno fino a ottobre sono stati versati comunque 25mila euro. A fine anno saranno 30mila. Mancano all’appello i 50mila euro che la presidente Francesca Koch e il direttivo della casa, insieme a tutte le associazioni che nella Casa hanno sede, fanno fatica a mettere insieme.
E questo è il punto delicato della trattativa con il Comune. Occorre far valere il valore sociale, politico e culturale della casa. Far valere il valore del lavoro volontario su cui la Casa si regge. Sono trentamila le donne che ogni anno frequentano la casa, sono centinaia le donne che ci lavorano.
In forma gratuita. Del resto da una ricerca del Comune sono stati valutati 700mila euro all’anno i servizi che la Casa offre alle donne della città.
Non ci sono arricchimenti, in chi si occupa e lavora per la Casa. Anzi. Il motore è la generosità, il mettersi a disposizione. Caratteristiche rare, nel mondo contemporaneo. Per questo preziose e da difendere. Per questo in tante di mobilitano, si emozionano. La Casa non si tocca. Si spera che la prima sindaca che Roma abbia mai avuto ne comprenda la storia speciale. E non tolga alle donne la loro Casa.