Il modo di agire del Ministro dell’Interno appare ogni giorno più chiaro: usare parole e azioni pesantissime per rendere ‘normali’ linguaggi e pensieri xenofobi e razzisti.
La sfida ai principi contenuti nella stessa Costituzione su cui ha giurato, la derisione e la delegittimazione di idee di solidarietà e umanità – fino alla pericolosissima e vergognosa sparata sul censimento dei Rom – assolvono ad un compito ben preciso. Bisogna alimentare un (falso) racconto collettivo che soffia sulla paura e costruisce odio e sospetto.
È un’offensiva culturale che ha già prodotto abitudine, che punta a diffondere il senso comune del ‘sentito dire’ e che ha trovato purtroppo un terreno già dissodato ben prima del 4 marzo, grazie ad allarmi sulla tenuta della democrazia che avevano rinsaldato l’associazione tra flussi migratori e sicurezza, accettando così, invece di contrastarla, la falsa e strumentale lettura della destra.
Uno dei principi fondanti del pensiero progressista è stato sempre quello di difendere tutti i più deboli. Per la nostra associazione, negli ultimi anni, un principio che ha naturalmente trovato attuazione nella difesa dei diritti e dell’accoglienza dei migranti, della cultura antirazzista.
Oggi però quel salto di qualità che fa diventare ‘normali’ parole e linguaggi razzisti e xenofobi attraversa anche noi.
Prendendo spunto da un servizio televisivo che intervistava frequentatori di un nostro circolo (non è il primo né temo sarà l’ultimo) che affermavano di non volere la presenza di migranti nel nostro paese, Salvini ha twittato: «Anche l’Arci sta con noi». Solo pochi giorni fa ci aveva (con tono sprezzante) catalogato come ‘buonisti’.
Ora, vorremmo ribadire al Ministro che sappiamo bene dove sta l’Arci e che dovrebbe pensare a svolgere il suo compito in modo responsabile.
Detto questo, sbaglieremmo anche noi (come ci pare tanta sinistra stia facendo) a non capire che tutti coloro che si ostinano ad occuparsi di ‘ultimi’, che offrendo sponde di socialità e ricreazione popolare, incontrano proprio tra gli ‘ultimi’ un’opposizione forte alla cultura del solidarismo.
Le ragioni vengono da lontano e trovano fondamento nella questione sociale, nell’aumento delle diseguaglianze. Che è anche questione democratica. La stessa che ha spinto tanti elettori un tempo di sinistra a pensare che cambiando voto sarebbero diventati protagonisti delle scelte sul proprio futuro.
Quel conflitto che ha attraversato soprattutto negli anni più recenti la società degli ‘ultimi’, l’Arci lo conosce bene, perché, spesso in solitudine, lavora nelle periferie culturali e relazionali che non conoscono più regioni ‘rosse’ o di altro colore (badate bene, un dato culturale non nuovo ma che ora si rivela anche sul piano elettorale).
Nel nostro Congresso abbiamo parlato dell’Arci nell’Italia cambiata.
Ci siamo interrogati su quanto ampia (troppo?) sia la divaricazione tra le nostre prese di posizione pubbliche e le idee diffuse nei nostri circoli nei territori, e su come sia possibile ricostruire il valore ‘pedagogico’ della politica associativa in questi tempi mutati.
È necessario ascoltare, capire e dall’altro lato riuscire a farsi ascoltare.
Non crediamo di aver sbagliato analisi. Anzi, pensiamo di poter dire che da tempo avevamo purtroppo visto giusto sulla subalternità del centrosinistra sia sui diritti sociali sia sul tema dell’immigrazione. Ma aver azzeccato l’analisi non necessariamente significa azzeccare la risposta giusta ai bisogni dei cittadini.
Ci siamo detti che occorre uno sforzo straordinario per una fase straordinaria: serve rafforzare la nostra identità rispetto ai valori della solidarietà, organizzare momenti di confronto e ascolto, a partire da quei circoli dove riescono a penetrare idee e parole di chiusura ed esclusione. Ma soprattutto ribadirci e ribadire che oggi servono ascolto, confronto, umiltà.
Tante assemblee, momenti di discussione, tra persone in carne e ossa, non solo sui social. Un lavoro lungo, paziente, laico di mediazione e formazione.
Di acquisizione di consapevolezza e di recupero della verità.
Lo faremo, a partire dalla campagna di tesseramento di settembre, forti della nostra elaborazione politica sui temi dell’immigrazione ma anche e soprattutto della nostra natura di associazione culturale e ricreativa.
Agire contro le paure, per liberarsene.
A partire da quelle che sono presenti anche tra le nostre socie e i nostri soci, nei nostri circoli.
Perché siamo ancora convinti che per uscire dalla crisi serve trasformare la sofferenza delle persone in partecipazione, a differenza di chi vuole lucrare con un populismo fascista.