Lenta agonia o possibilità concreta per invertire una situazione che appariva fino a qualche giorno fa compromessa? È questo l’interrogativo che gli abitanti del villaggio beduino di Khan al Ahmar e gli attivisti locali e internazionali che li appoggiano si pongono da quando la Corte suprema israeliana, rispondendo ad un nuovo ricorso, ha esteso al 16 luglio lo stop, inizialmente fissato fino all’11 luglio, lo sgombero con la forza del villaggio e la sua distruzione, inclusa la Scuola di Gomme costruita dalla ong italiana Vento di terra per i bambini di cinque piccole comunità beduine nella zona.
A dare una piccola mano alla lotta degli abitanti potrebbe essere anche lo sciopero previsto a metà mese dei dipendenti della cosiddetta Amministrazione civile israeliana in Cisgiordania – emanazione delle forze armate e responsabile per gli affari dei civili palestinesi sotto occupazione militare – che forse allungherà i tempi dello sgombero e permetterà una azione legale più articolata a sostegno dei beduini.
Tuttavia la speranza che questo ulteriore rinvio apra uno spiraglio reale alla possibilità di salvare Khan al Ahmar è flebile. Nei giorni scorsi la polizia di frontiera israeliana ha di nuovo isolato la zona e presidia il villaggio vietando ai non residenti di entrarvi. Proseguono anche i lavori di costruzione di una o più strade destinate a passare attraverso il villaggio. Inoltre i bulldozer hanno continuano a livellare terreni presso al Azariya, ad est di Gerusalemme, e a trasferirvi i caravan destinati a ospitare le 35 famiglie (181 persone) di Khan al Ahmar che vi saranno portate contro la loro volontà.
I beduini palestinesi di Khan al Ahmar, della tribù dei Jahalin, provengono dal deserto del Negev da cui furono cacciati negli anni Cinquanta e costretti a spostarsi in Cisgiordania.
Israele intende cancellare Khan al Ahmar poiché ostacola il progetto di espansione coloniale nella zona E1, il corridoio di terre che da Gerusalemme corre verso Gerico. Un piano perseguito da decenni ma sempre bloccato, soprattutto dalle pressioni statunitensi, perché se realizzato renderebbe impossibile la creazione di uno Stato palestinese continuo: la Cisgiordania finirebbe divisa in due parti.
Alcuni paesi europei – Italia, Irlanda, Svezia, Belgio, Francia, Svizzera, Finlandia, Spagna e Unione Europea – sono intervenuti per bloccare i propositi delle forze armate dopo il via libera alla demolizione di Khan al Ahmar e della Scuola di Gomme sancito dalla sentenza lo scorso 27 giugno dalla Corte suprema israeliana. Hanno anche inviato i propri consoli a far visita al villaggio ma erano stati bloccati prima dell’ingresso dall’esercito israeliano. Tra loro l’italiano Fabio Sokolowicz che aveva ribadito la necessità di salvare la Scuola di Gomme. Da parte loro le Nazioni Unite denunciano una grave violazione dei diritti umani.