Sabato scorso, il centro di Budapest è stato invaso da migliaia e migliaia di persone, moltissimi i giovani. Siamo la maggioranza, era lo slogan della manifestazione, che ha denunciato brogli elettorali e chiesto nuove elezioni.
Ed è vero che a Budapest i partiti di opposizione, arrivati al voto frammentati di fronte alla macchina da guerra del leader in carica Viktor Orban, hanno vinto in molti collegi. Ma per i resto, il partito di maggioranza Fidesz ha fatto davvero il pieno. Orban è riuscito anche a tenere a bada il suo competitore a destra Jobbik, il partito di estrema destra che, spostandosi su posizioni moderate, ha cercato di sottrargli fette consistenti di elettorato.
Gli osservatori dell’OSCE hanno affermato che la gestione tecnica dell’evento elettorale è stata «professionale e trasparente» e i diritti e le libertà fondamentali sono stati «nell’insieme rispettati, ma esercitati in un clima avverso. Intimidazione e retorica xenofoba, faziosità dei media e finanziamenti opachi alla campagna elettorale hanno intralciato la possibilità degli elettori di esprimere una scelta pienamente informata».
Nel suo report, l’OSCE ha anche sottolineato che «nella campagna elettorale l’identificazione fra stato e governo è stata totale, e che nelle zone rurali il monopolio dell’informazione è stato tale che solo la retorica di Fidesz, fondata sulla paura dell’invasione islamica, è riuscita a farsi ascoltare». La vittoria schiacciante di Orban avrà un duro impatto su tutta la società civile indipendente, media inclusi.
Il giorno dopo il voto, il portavoce del gruppo parlamentare di Fidesz ha confermato come prioritaria l’approvazione del pacchetto di leggi Stop Soros, che colpirà le organizzazioni di società civile indipendenti impegnate nell’aiuto a migranti e richiedenti asilo.
«Il potere di Fidesz si basa sul controllo della vita politica e delle istituzioni indipendenti» ha commentato un analista del Political Capital Institute di Budapest. «Ha come unico obiettivo rendere Fidesz il solo attore politico in grado di dominare il discorso pubblico in Ungheria, e non può sopportare che la società civile indipendente e i media mettano i piedi nel piatto di questioni politiche».
E infatti, il portavoce del governo ha dichiarato apertamente domenica, nell’attesa dei risultati, che «vanno chiuse le feritoie nel sistema legale che ancora permettono a organizzazioni non autorizzate di interferire nella vita politica».
Lo sconforto è grande, fra la assai attiva, diffusa e intelligente società civile democratica ungherese. Marion Gulyas, fondatore del Movimento Un paese per tutti ha scritto: «Non dobbiamo lasciare il campo. Certo, dobbiamo riflettere profondamente sul perché non siamo riusciti a raggiungere le persone fuori dal nostro cerchio. Dobbiamo ripensare alla politica e alla società ungherese. Ma dobbiamo anche andare saper andare avanti, e continuare a resistere». Nella post-democrazia, comune ormai in Europa e non solo nelle situazioni più estreme, la lotta contro il potere è sempre più difficile. Ma bisogna farla. Prepariamoci a stare molto vicino ai nostri amici democratici ungheresi.
La prima cosa che possiamo fare è firmare la petizione contro le leggi Stop Soros