Lo scenario in cui ci muoviamo in questi mesi è chiaramente molto lontano da quello che un’associazione come l’Arci auspicherebbe e per cui lavora. Indico, a titolo esemplificativo, due fatti recentissimi che rendono bene l’idea. La scorsa settimana l’Alto Commissario per i diritti umani dell’ONU Michelle Bachelet ha annunciato che il nostro paese sarà al centro di un’indagine per valutare «il forte aumento di casi di violenza e razzismo contro i migranti, le persone di origine africana e i rom». Il 12 settembre, il Parlamento europeo ha chiesto al Consiglio di attivare la procedura dell’articolo 7 del Trattato di Lisbona nei confronti dell’Ungheria illiberale di Orban, ma tra i voti contrari c’erano quelli della Lega, il partito che governa il nostro Paese.
Disumanità, razzismo e xenofobia sono stati definitivamente sdoganati, sono state violate le più basilari regole condivise di soccorso di chi è in difficoltà. Le vite umane vengono usate per ottenere dall’Europa qualche spicciolo di flessibilità dei conti e per puntare alla sua disgregazione. Attacchi alla democrazia rappresentativa e al sistema istituzionale si susseguono senza imbarazzo e si invoca il popolo come una clava contro la magistratura, in una riedizione, ancora più violenta e pericolosa, dello Stato contro lo Stato cui ci aveva portato Berlusconi.
I pochi provvedimenti veri adottati dal Governo finora rendono ancora più chiara, ove ce ne fosse bisogno, la natura di questo esecutivo.
Il taglio ai fondi per le periferie rappresenta un altro colpo agli enti locali, da tempo in difficoltà, e dunque ai territori. Perché, come ci dice la sindaca di Barcellona, Ada Colau, è a partire dalle città, primo avamposto per i cittadini dei beni pubblici, della promozione di partecipazione, della trasparenza, che si creano luoghi e comunità senza paura.
Nell’ultimo Consiglio Nazionale, che ha visto un dibattito ricco ed appassionato, è proprio questo che ci siamo detti: come è possibile tenere insieme tre concetti chiave: re-agire, agire contro, agire per? Come è possibile trasmettere messaggi positivi?
Come è possibile evitare di seguire l’agenda dettata dai proclami e dalla dittatura mediatica di Salvini? Come è possibile raccontare un’altra realtà, quella vera, sull’immigrazione?
Significa innanzitutto schierarsi per la democrazia, i diritti, rinsaldare la tenuta dell’antifascismo. Significa battersi per l’Europa e reclamare una diversa idea di Europa, rispetto a quella attuale, pericolosamente in crisi – tanto attenta al mercato e poco alle persone – e a quella che vogliono Salvini, Meloni e i loro amici di Visegrad. E significa, soprattutto, affrontare la questione sociale e democratica.
Mettere in campo con maggiore forza azioni e pratiche che riescano a stare vicino a chi è più in difficoltà, ascoltare le persone, stargli vicino nelle cose che stanno loro a cuore.
Solo così, facendosi capire, si conquista la fiducia sufficiente per poter affrontare in altro modo la questione dei migranti e spingere a ragionare sui rischi che può avere un’involuzione democratica sulla vita di tutti.
Se leggiamo la società non possiamo non capire che la solitudine, la rottura dei legami di comunità, la scomparsa di pensieri forti contro le diseguaglianze, a difesa di chi è più debole, attraversano culturalmente e politicamente soprattutto gli ultimi. E quindi anche il nostro corpo sociale.
Risentimento, rabbia, rancore, disagio si sconfiggono attraverso una sorta di ‘corpo a corpo’, proponendo azioni positive, riaffermando il valore della solidarietà, insomma la diffusione di cultura costituzionale, solidale, di crescita collettiva.
Per fare tutto questo diventa ancora più importante, decisivo, il lavoro capillare nei circoli, il contatto e la relazione con i gruppi dirigenti delle nostre basi associative e, quindi, con le socie e i soci. È necessaria la capacità di promuovere pratiche e occasioni di promozione di uguaglianza, solidarietà, il confronto con i cittadini dei quartieri.
Il mutualismo, la promozione della cultura, i momenti di approfondimento, le iniziative di solidarietà con i più deboli della società sono sicuramente e dovranno essere a fondamento della nostra alternativa e opposizione alla regressione culturale di questo tempo.
Come dice la nostra tessera: più cultura meno paura.