Era l’inizio di settembre quando abbiamo saputo che il Senatore Pillon si preparava a presentare in una conferenza stampa il suo disegno di legge su separazione e affido con il quale intendeva dare attuazione a uno dei punti – tra i tanti – più critici del cosiddetto ‘contratto di governo’ tra Lega e M5S: la modifica dell’affido condiviso – regolamentato con una legge del 2006 grazie alla quale già oggi l’affido condiviso prevale largamente rispetto all’affido esclusivo a uno dei genitori – per venire incontro alle pressioni delle associazioni dei padri separati, da sempre sul piede di guerra soprattutto per questioni di natura economica. Così abbiamo lanciato, ancor prima della conferenza stampa del Senatore, la petizione per chiedere il ritiro del Ddl su Change.org che ha ormai superato le 100.000 firme e la mobilitazione per il 10 novembre, che vedrà centinaia di piazze mobilitate con una richiesta molto chiara: NO Pillon.
Le avvocate della rete D.i.Re hanno spiegato Perché diciamo No al DDL Pillon e agli altri disegni di legge che sono in discussione attualmente in Commissione giustizia al Senato. I punti critici sono tanti e non riguardano soltanto le donne vittime di violenza, anche se per loro le modifiche previste dal Ddl rappresentano un rischio enorme. La maggior parte delle donne vittime di violenza domestica e familiare, e con loro i figli e le figlie vittime di violenza assistita, non scelgono infatti la denuncia penale per uscire dal tunnel della violenza, perché un processo penale comporta tempi molto lunghi, in media 5/6 anni, ed espone le donne a una continua rivittimizzazione nelle aule dei tribunali, dove sono costrette a rivivere continuamente l’esperienza della violenza subita. Scelgono invece semplicemente di separarsi in sede civile.
La mediazione familiare, punto cardine del Ddl Pillon, e l’affido condiviso sono vietati dalla Convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne e la violenza domestica, che l’Italia ha ratificato nel 2013. Con il Ddl Pillon la mediazione familiare – per giunta a pagamento a carico delle parti, salvo il primo incontro – diventerebbe obbligatoria, e l’eliminazione dell’assegno di mantenimento esporrebbe le donne a continue rinegoziazioni del piano genitoriale con il partner violento, sia a fronte di eventuali emergenze che della semplice evoluzione della vita dei figli in crescita.
Le 80 organizzazioni della rete D.i.Re che gestiscono centri antiviolenza e case rifugio conoscono bene le difficoltà e i rischi che corrono le donne vittime di violenza. Le storie di femminicidio di cui sono piene le cronache dei giornali nostro malgrado, confermano che è proprio il momento in cui una donna annuncia che si vuole separare e lascia il partner violento, il momento più pericoloso, quello dove il rischio per l’incolumità di tutti i membri della famiglia, anche i figli e le figlie, diventa massimo.
Questo Ddl altro non è che il tentativo di scoraggiare in tutti i modi la separazione, rendendo il percorso costoso e faticoso, come se si potesse imporre di ‘restare insieme’ in maniera coercitiva e ad opera dello stato quando un progetto di famiglia si dimostra impraticabile.
Sia chiaro: non siamo contro i padri, né contro gli uomini. Ma per dare valore vero alla paternità e alla bigenitorialità tanto cara al Senatore Pillon, sono altre le misure che ci vogliono: congedi genitoriali più ampi e condivisi, servizi e asilo nido per facilitare la conciliazione famiglia-lavoro, una diversa distribuzione del carico del lavoro di cura, che ricade ancora quasi interamente sulle spalle delle donne, costrette molto spesso a lasciare il lavoro quando nasce il primo figlio. Non di una manipolazione ipocrita come il Ddl Pillon che va re-spinto al mittente con tutte le nostre forze.