Il prossimo 6 aprile saranno la campana della chiesa di S. Maria del Suffragio dell’Aquila che suonerà 309 volte e la fiaccolata che attraverserà le vie principali del centro storico a ricordare la tragedia del 2009.
Nove anni dopo L’Aquila è ancora un grande cantiere. La ricostruzione procede, ma nel centro storico i segni di vita sono ancora pochi. 8.024 sono le persone alloggiate nei progetti Case e 2.149 quelle che si trovano nei Map.
La storia dell’Aquila è stata caratterizzata da terremoti catastrofici: anno 1461, anno 1703, anno 2009. Facendo un rapido calcolo, ogni 300 anni la natura si accanisce su questa città. Secondo gli storici, dopo il terremoto del 1703 ci vollero 20 anni per ricostruire L’Aquila. Adesso forse ci vorrà qualche anno di meno, ma è scontato che la città non sarà mai più la stessa. Chi ha deciso di rimanere all’Aquila per necessità o per atto di fede, vive male. E questo vale per tutte le comunità del centro Italia colpite in anni recenti dal terremoto. Non è facile essere resilienti in territori piegati da catastrofi naturali che tolgono parte della tua identità, da crisi economiche che tolgono la certezza di un lavoro, da crisi sociali dove si agitano più paure che speranze.
Questa ricorrenza cade a ridosso del congresso territoriale Arci L’Aquila. Un congresso impegnativo per i temi locali e globali che si intrecciano più di quello che pensiamo. Il risultato del 4 marzo ci costringe a guardare la realtà per quella che è. Avevamo come slogan Agire il cambiamento. Il 4 marzo ci ha detto che altri hanno ‘agito il cambiamento’. Non cambia e non si discute il valore e l’utilità sociale, culturale e aggregativa di quello che facciamo, di quello che fanno soprattutto
i nostri circoli che vivono la realtà quotidiana delle proprie comunità, ma evidentemente non è stato sufficiente a invertire una narrazione sbagliata, costruita ad arte dalle forze politiche che sono state premiate il 4 marzo, su temi ad esempio come l’immigrazione o l’antifascismo.
Dentro queste riflessioni, che vede impegnata tutta la nostra rete in questa fase congressuale, ci stanno le riflessioni dell’Arci L’Aquila: sulla ricostruzione dell’Aquila e di tutta l’area del cosiddetto cratere, sulla difficoltà dei nostri circoli a resistere allo spopolamento dei loro paesi, sulla riforma del terzo settore da assorbire prima culturalmente che praticamente, la capacità di fare rete vera con gli altri territoriali abruzzesi.
La priorità sulla quale riflettere lo dice bene un passo di una delle ultime note inviate dalla presidenza nazionale, ossia «come un’associazione come l’Arci che vuole essere popolare, aperta e non minoritaria si possa attrezzare per esserlo. Un’associazione che non vuole essere di opinione, ma che vuole costruire e rinnovare le proprie pratiche sociali per fare cose concrete».