La polvere non s’è ancora depositata sugli esiti referendari e già i proponenti si dividono sul come procedere e, forse, anche sulle richieste da avanzare allo Stato centralista. Questo segnala, almeno per un parte, la natura propagandistica che ha ispirato i due referendum lombardo-veneti. In ogni caso, non bisogna sottovalutare il segnale che milioni di persone hanno voluto mandare alle Istituzioni e al mondo politico.
In effetti, una buona riforma in senso autonomistico non solo è prevista dalla Carta Costituzionale, ma rappresenterebbe un passo in avanti nello snellimento burocratico, per una gestione della cosa pubblica più efficiente e aderente alle domande territoriali che, come è evidente, sono spesso differenziate da regione a regione. Sempreché questo processo non sottenda l’idea della separazione; ovvero, della perdita di solidarietà tra comunità e, infine, non rappresenti un colpo all’unità nazionale. Il fatto che il Paese viaggi a diverse velocità è sotto gli occhi di tutti; trascurare o minimizzare l’esigenza di rispondere alle domande dei cittadini italiani, in qualunque regione risiedano non rappresenterebbe certo una soluzione.
Ridurre, poi, al trattenere il gettito fiscale per garantire servizi migliori, tasse meno pesanti e magari una sanità più efficiente a scapito di altre aree più in difficoltà, è assai poco lungimirante ed anche egoistico. Il Governo dovrà dimostrare di comprendere le richieste di una maggiore autonomia, aprendo rapidamente un tavolo di confronto con le Regioni. Evitare un conflitto tra livelli istituzionali seguendo il metodo del confronto è la sola strada da seguire. Per l’autonomia e la democrazia, per l’unità del Paese.