Nel 1993, quando la guardia di finanza mette i sigilli al seminterrato di via Randazzo 27, Nitto Santapaola, storico capomafia di Catania e proprietario dell’appartamento, era ancora latitante. Adesso, in un appartamento di 60 metri quadrati (con un giardino poco più grande), nascerà una casa della memoria dell’antimafia a Catania. Lo scorso 8 novembre a I Siciliani giovani, Gapa, Arci e Fondazione Giuseppe Fava sono state consegnate le chiavi di uno dei primi beni confiscati alla mafia e affidati alle associazioni con il nuovo regolamento comunale. Nel 1999 l’appartamento viene infatti acquisito al patrimonio del Comune di Catania e vincolato a farne uso di carattere sociale.
«Catania è stata a lungo tempo ed è ancora vittima della violenza mafiosa, adesso al posto di quei beni che sono stati comprati coi soldi sporchi c’è uno spazio aperto a tutta la città», dice Matteo Iannitti, componente dell’associazione I Siciliani giovani che, assieme alle altre già citate, ha avuto in gestione l’immobile. «Non siamo ancora in condizione di cominciare le attività: ci sono da rifare l’impianto idraulico e quello elettrico, sistemare il giardino e le stanze», elenca. Per raccogliere i finanziamenti necessari è stato attivato un crowdfunding sulla piattaforma online Produzioni dal basso. E Banca Etica ha selezionato il progetto, unico a Catania, per contribuire alle spese: aggiungerà il 25 per cento di quanto si riuscirà a raccogliere tramite le donazioni dei cittadini.
«Quando abbiamo cominciato l’iter per ottenere un bene confiscato – interviene Giovanni Caruso, volto storico de I Siciliani giovani e del Gapa – quasi non credevo che saremmo riusciti a farcela. Questo per noi è un sogno che si avvera». E l’intitolazione a Giambattista Scidà – magistrato, a lungo presidente del Tribunale per i Minori di Catania (morto nel 2011) e tra i volti più rappresentativi dell’antimafia catanese – non è un caso. «L’ingiustizia sociale è la matrigna di tutte le mafie – prosegue Caruso – Questo non sarà solo un posto di memoria, sarà anche un posto di allegria. Alla mafia dà fastidio essere toccata nel portafogli: prendere in mano un posto che era suo e trasformarlo in un luogo di tutta la cittadinanza è una sfida a viso aperto, che ci sentiamo di lanciare».
Ad alimentare il progetto sarà il contributo dei catanesi. «Le donazioni contribuiranno a costruire un senso di appartenenza – replica Francesca Andreozzi, vicepresidente della Fondazione Fava, figlia di Elena e nipote di Pippo Fava – È un progetto in itinere, lo vedrete trasformato. Sarà aperto alle scuole e servirà a fare informazione. A spiegare, per esempio, chi era Giuseppe Fava come uomo. Per parlare di lui non solo attraverso la sua attività giornalistica, ma anche attraverso i suoi quadri, i suoi racconti, i suoi testi teatrali. Per avvicinarlo a noi e renderlo una persona normale. Perché se rimane un eroe rischia di diventare irraggiungibile, ma era un uomo e combatteva l’ingiustizia con gli strumenti degli uomini onesti».