Da sempre per la sinistra, per gli italiani in genere, l’America Latina ha un posto speciale nella geografia del cuore. Dalla fine del XIX secolo, si può dire fino ai giorni nostri, un cordone ombelicale fatto di sofferenza e partenze ha legato i nostri migranti ad una terra geograficamente così lontana. Metà della popolazione brasiliana ed argentina e anche una buona percentuale della popolazione cilena sono di origine italiane, e non pochi migranti di ritorno hanno come nome proprio America, a ricordo delle speranze che in quella migrazione avevano posto i loro nonni.
Ma vi è anche un legame politico culturale profondo che ha formato intere generazioni di attivisti politico culturali del nostro paese, dal Cinema Novo Brasiliano a Gabriel Garcia Marquez, a Los Olivados di Lois Bunuel; e poi il Che, il Cile di Allende e (ahimè) di Pinochet, i desaparecidos, metà argentini e metà italiani. Quindi non c’è da stupirsi del fatto che, in questi giorni di ritorno all’attualità della cronaca di stati latino americani, la nostra associazione non sia indifferente. La repressione in Cile delle proteste popolari, la cui richiesta fondamentale era ed è l’abolizione della Costituzione di Pinochet, con metodi e brutalità tipica non di una democrazia ma appunto della dittatura di Pinochet. Prima ancora c’era stato il golpe giudiziario contro Lula, ed ora il presidente della Bolivia Evo Morales costretto all’esilio da un colpo di stato militare.
Come associazione tre sono le questioni importanti:
1) Mai e poi mai, in nessun caso la nostra associazione può accettare un cambio di governo con l’uso della forza. Si può mandare a casa solo con le elezioni o con regolari procedure di impeachment previste da ogni legislazione democratica.
2) Le ragioni addotte per giustificare l’allontanamento di Evo Morales appaiono strumentali. L’essere stato non all’altezza delle aspettative, aver patrocinato politiche arroganti e inconcludenti nei confronti di questo o quel gruppo di avversari o ex sostenitori, studenti, associazioni di nativi o quant’altro, non può farci accettare l’uso della forza per cambiare un governo. Le forze che hanno rovesciato Morales dicono ben altro. Al centro delle motivazioni del colpo di stato c’è l’odio per il successo delle politiche di contrasto alla povertà e di redistribuzione della ricchezza che ha alleviato la vita di molti poveri boliviani e angustiato le élites economiche di quel paese.
3) I fatti boliviani hanno anche il grande insegnamento per la sinistra e per la nostra associazione di stare attenti, ad ogni politica che porti a un uomo solo al comando. Evitare con cura quel che un tempo veniva definito ‘culto della personalità’ è un antidoto che deve essere sempre presente nelle nostre politiche. Affidarsi al lavoro politico collettivo, può far fare alle nostre politiche due passi avanti senza essere travolti dalla reazione.
Quel che preoccupa è l’assordante silenzio dell’Europa, delle sue istituzioni, dei suoi governi compreso quello italiano, in genere così solerti a difendere la cultura politica della società occidentale ed oggi mute di fronte allo stravolgimento dei principi minimi della democrazia.
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