15 suicidi nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno, una popolazione carceraria che ad oggi conta 60.814 detenutɜ, con un incremento di circa 400 detenutɜ in più ogni mese, nessuna misura all’ordine del giorno contro il sovraffollamento, passato in un anno dal 117% al 127%, pochɜ psicologhɜ e pochissimɜ psichiatrɜ, risorse insufficienti e limitate e nessuna inversione di tendenza all’orizzonte sul tema.
È la fotografia delle carceri italiane fatta in audizione alla Camera da Giovanni Russo, il capo del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.
Un quadro drammatico aggravato dalle politiche del governo, criminogene e dannose, che hanno portato alla creazione di 15 nuovi reati nell’ultimo anno che inaspriscono le pene per fatti di lieve entità, come quelli contenuti nel decreto Caivano, e che propone come unica ricetta per contrastare il sovraffollamento delle carceri la costruzione di nuovi istituti di pena.
Come Arci, che si è sempre occupata dei diritti delle persone detenute e delle condizioni di vita e lavoro in carcere, torniamo a ribadire – come fatto anche dal capo del Dap – un diverso approccio. Di segno opposto a quello del governo, partendo dalla difesa e tutela della dignità umana delle persone che sono in carcere.
I tanti suicidi e le periodiche rivolte negli istituti di pena, ci dicono quanto sia critica la situazione e quanto non sia più rinviabile affrontarla. Non è solo il sovraffollamento a rendere difficilissima la vita dellɜ detenutɜ ma sono anche la gravissima e inaccettabile insufficienza di assistenti sociali, psicologhɜ, psichiatrɜ, medici, operatorɜ espertɜ che possono dare sollievo ai tanti problemi di chi sta scontando la sua pena.
Per non parlare della condizione delle tante fragilità estreme che non vengono trattate come tali: da chi ha seri disturbi psichici e viene confinato in cella, allɜ bambinɜ che vivono in carcere con le loro madri in condizioni inumane, alle relazioni familiari delle persone detenute.
Senza dimenticare che la maggior parte della popolazione carceraria è composta da chi ha commesso reati violando leggi che regolano, male, fenomeni sociali che avrebbero bisogno di una risposta diversa: il prodotto della legge proibizionista sulle droghe, di quella sull’immigrazione, della persecuzione dei poveri.
Sarebbe allora necessario invertire la rotta aumentando le risorse del bilancio dello stato e puntare sulle misure alternative – portando a 75 giorni a semestre lo sconto pena per liberazione anticipata, strumento certamente deflattivo a costo zero, o trasferendo in comunità di accoglienza educative, come ipotizzato dal capo del Dap, le persone detenute non recidive né pericolose con una pena residua di 6, 12 o 18 mesi – e investire su progetti di reinserimento sociale e lavorativo per affermare, in modo concreto ed efficace, la dignità e i diritti delle persone e liberare il carcere dalla drammatica situazione in cui si trova.