I predicatori d’odio sono tra le figure pubbliche di maggiore successo degli ultimi anni. Usare parole di odio, alimentare il razzismo nei confronti di minoranze, tanto meglio se si tratta di gruppi che non prendono mai la parola e che non hanno alcuna influenza sull’opinione pubblica, è diventata un’attività molto “remunerativa”, sia in termini di consenso elettorale, sia per la carriera politica di singole persone.
Di fronte alla pervasività dei discorsi d’odio e alla loro relativa influenza nei mezzi di comunicazione oggi più dinamici e invasivi – la rete internet e, ancora di più, i social network – le organizzazioni sociali, gli attori della società civile, i soggetti che analizzano i fenomeni culturali e sociali e provano ad agire per modificarli hanno la responsabilità di mettere in campo un’azione adeguata alla sfida che abbiamo davanti, dopo un esame attento e accurato di quel che sta succedendo.
Per ridurre e fermare la pervasività e la popolarità dei discorsi d’odio è necessario costruire le condizioni per la definizione di un tabù socialmente condiviso e popolare.
Un muro che obblighi chiunque faccia ricorso alle parole d’odio a sentirsi “fuori gioco”, non accettato, isolato. Un processo culturale che richiede un impegno straordinario e tempi non brevi. Iniziare subito è una priorità se non si vuole arrendersi al dilagare del razzismo.