Dalle guerre all’ambiente, passando per i megaprofi tti delle multinazionali e i salari da fame: siamo di fronte ai frutti avvelenati di un sistema che aumenta a dismisura le diseguaglianze
Nel mondo la situazione si è messa davvero molto male. Mentre è in corso il genocidio palestinese ad opera del più fascista dei governi dello stato di Israele, Macron non esclude di inviare soldati della Nato a combattere in Ucraina una guerra che sembra non dover finire mai.
Un mondo al maschile. Quello che si misura solo sui rapporti di forza, violenti e senza futuro.
Pulsioni di un sistema economico e sociale, il capitalismo, che vive uno dei peggiori periodi dal dopoguerra. Le disuguaglianze nel mondo sono aumentate, ce lo dicono i tanti rapporti internazionali. Sono cresciute anche in Italia e, come abbiamo visto durante le due edizioni passate di “eQua”, l’appuntamento nazionale dell’Arci sulla lotta alle disuguaglianze, le povertà diventano croniche.
Transizione ecologica e straordinarie innovazioni tecnologiche accelerate dalla potenza dell’intelligenza artificiale, se lasciate al mercato e all’iper-capitalismo, rischiano di aumentare i già tanti conflitti nel mondo e di mandare a spasso milioni di lavoratori e lavoratrici.
E allora dobbiamo sfidare il capitalismo e lo dobbiamo fare con sguardi differenti. Quando abbiamo iniziato a ragionare sulla terza edizione di eQua dal titolo “Che genere di mondo” che si è svolta a Milano dal 14 al 16 marzo, stavamo vivendo le straordinarie mobilitazioni contro i femminicidi contro il patriarcato, contro la violenza economica e sociale che le donne subiscono ogni giorno. Erano i giorni dello sgomento e della incazzatura per l’ennesimo omicidio di una donna, Giulia Cecchetin, per mano di un uomo.
La riflessione dell’Arci sugli effetti nefasti della società patrarical-capitalista era già avviata da tempo ma è come se tutte, tutti, tuttu ci fossimo improvvisamente resi conto che non c’è più tempo per rimandare una lotta che parte proprio dallo sguardo differente delle donne.
Abbiamo iniziati i nostri lavori con un video del senatore statunitense Bernie Sanders che ha appena pubblicato “Sfidare il Capitalismo” e che recentemente ha presentato una proposta di legge per ridurre la settimana lavorativa a quattro giorni con identico salario.
E’ una delle tante proposte che vanno nella direzione di riequilibrare gli enormi divari tra i profitti di pochissime aziende e le povertà crescenti, anche nel ceto medio.
Oxfam propone di tassare davvero i ricchi con la campagna “Tax the Rich”. C’è poi da arginare lo strapotere dei colossi della “piattaforme” attraverso una riforma della tassazione sulle transazioni internazionali e una accelerazione per implementare la Carbon Tax ristabilendo una parità di costi tra le produzioni extra Ue e quelle interne, tassando maggiormente gli scambi internazionali.
Disuguaglianze nell’accesso alla conoscenza e all’educazione di base, disparità di salario e differenze dei tempi di “cura” tra uomini e donne, sono altri elementi che non consentono di costruire un mondo davvero equo.
Dobbiamo anche combattere una battaglia tutta culturale: quella di contrastare l’idea che se sei povero e sfigato è tutta colpa tua. Perché se non ce l’hai fatta è perché non ti sei impegnato abbastanza, non hai avuto la forza di contrastare un mondo che ha solo l’obiettivo di spremerti come un limone. La povertà non può essere una colpa individuale. Per questo l’Alleanza contro la Povertà fornisce analisi e proposte per misure di sostegno al reddito che consentano alle persone di vivere una vita dignitosa.
Spostare la visuale su molti di questi temi partendo dallo sguardo delle donne è fondamentale. Durante tutto il secondo giorno del nostro appuntamento abbiamo messo a fuoco molte delle questioni che riguardano le differenze di genere e che determinano disuguaglianze inaccettabili nei diritti fondamentali.
Abbiamo ragionato della necessità di affrontare i temi della salute partendo dalle differenze tra uomini e donne, con un focus sulla salute mentale nell’anno del centenario della nascita del visionario Franco Basaglia. Lavoro povero, livelli di istruzione più bassi, assenza di reti e di spazi per le donne e autogestiti dalle donne, sono elementi che condizionano fortemente i livelli di salute delle stesse.
Senza dimenticare che il lavoro di cura nella famiglia spesso ricade tutto sulle donne ed è uno dei motivi della disuguaglianza nei tempi dedicati al lavoro o al benessere personale. Questo si traduce poi in valori più bassi delle future pensioni che aumenta la loro dipendenza dai loro compagni maschi anche da anziane, o di vivere una vecchiaia solitaria più faticosa perché più povere in un sistema sanitario privatizzato sempre più diseguale.
Anche per questo dovremo contrastare con decisione il progetto di autonomia differenziata di Calderoli e del governo Meloni.
Sfidare il capitalismo vuol dire anche occuparsi di come funzionano quei dispositivi che regolano la convivenza delle persone nella società. Il carcere è forse quello che ci mette crudemente di fronte alla incapacità del capitalismo di affrontare le disuguaglianze e le loro conseguenze. Pur essendo un numero assai minore dei maschi, le donne detenute soffrono una condizione drammatica, soprattutto se sono anche mamme. La condizione delle donne in carcere è paradigmatica del periodo drammatico che stanno vivendo le persone private della libertà. E’ necessario ripensare radicalmente l’esecuzione della pena e quali sono i percorsi reali di riscatto dei ristretti.
Anche il come sono state pensate le città e quanto é sempre più difficile utilizzare i servizi di utilità pubblica sono parte della lotta femminista e transfemminista per combattere l’esclusione delle donne dallo spazio pubblico che, come sappiamo, è anche spazio politico.
E’ fondamentale tutelare e promuovere anche l’auto-organizzazione delle donne per la diffusione di spazi aperti e sicuri per tutte. La “sicurezza” delle donne non può essere solo delle donne bianche borghesi ma deve riguardare tutte e tuttu.
Mentre cerchiamo di elaborare proposte convincenti e percorribili per combattere le disuguaglianze, le accelerazioni straordinarie delle innovazioni digitali cambiano rapidamente gli scenari. Anche in questo caso il digitale non sta producendo maggiore uguaglianza di genere. Il digitale è fatto dalle persone che lo abitano e quindi ripropongono forti dinamiche di differenza di genere e di disuguaglianze sociali. Ma la questione deve essere affrontata alla radice domandandoci se il “capitalismo della sorveglianza” che lucra sui miliardi di dati che forniamo alle multinazionali delle piattaforme può essere sostituito con strumenti diversi, con la consapevolezza che la soluzione è la crescita di una coscienza critica insegnando a trasgredire per costruire anche nuovi immaginari. Dobbiamo riscrivere il codice della stessa società. Dobbiamo farlo collettivamente e proponendo alternative.
Quali soluzioni? Cosa fare concretamente? Oltre alle tante proposte concrete citate, mutualismo, cura e mobilitazione sociale sono strumenti per sfidare questo mondo che non ci piace.
Non lo faremo da soli perché sappiamo quanto sia importante costruire alleanze e reti larghe che spesso parlano linguaggi diversi e che, proprio questo, arricchiscono l’elaborazione collettiva.
Non ci faremo intimidire, come abbiamo già detto dopo le manganellate agli studenti a Pisa, e offriremo le nostre elaborazioni a chiunque abbia la sensibilità di navigare in mare aperto, costruendo un altro “genere di mondo”.