La vicenda dell’ex Ilva si sta trasformando in terreno di scontro politico piuttosto acceso. Mentre le opposizioni attaccano il Governo, tra i 5 Stelle non c’è intenzione di fare passi indietro sulla revoca allo scudo penale che ArcelorMittal indica tra le cause che hanno portato alla manifestata volontà di rescindere l’accordo per l’affitto con acquisizione delle attività di Ilva.
Ma la questione rischia di essere molto più complicata delle beghe politiche. Giusto qualche giorno fa ci ricordava lo studio della Svimez della drammatica frattura nord-sud e il caso ArcelorMittal rischia di ampliare il divario.
Ora, con un nuovo round della crisi del siderurgico di Taranto, tornano in primo piano le pesanti debolezze delle nostre politiche industriali. E ancora una volta quell’enorme fabbrica, entrata in funzione 55 anni fa, che mette in conflitto il lavoro con ambiente e salute e che si può affermare che è fin dall’inizio una fabbrica sbagliata, con percentuali intollerabili di incidenti sul lavoro e di avvelenamento della popolazione residente intorno alle sue ciminiere. Ma ora è incomprensibile perdere investimenti da quasi 4 miliardi di euro in un settore strategico per un Paese che vuole avere un’industria metalmeccanica. A rischio sono quasi 11mila lavoratori diretti e molti dell’indotto. Purtroppo ci stiamo assuefacendo ai proclami e alle dichiarazioni e meno alle soluzioni e alla concretezza.