La protesta di Torre Maura a Roma, dove sarebbero dovute essere accolte una ventina di famiglie rom, solleva molte riflessioni.
L’integrazione e la ricollocazione di famiglie rom, o comunque di origini diverse e soprattutto avvertite come ‘diverse’, non è qualcosa che si può imporre, serve un lavoro paziente, condiviso sul territorio. Quando per anni si sono assecondati i peggiori istinti delle persone, e in questo anche i grillini non hanno fatto eccezione, non ci si può certo stupire di una reazione tanto violenta. Ci si è molto soffermati sulle proteste, le minacce, le prese di posizione, il pane calpestato. Ma credo che questa ennesima esplosione di intolleranza dovrebbe quantomeno farci riflettere e tentare di andare oltre, cercando di capire la genesi dell’evento, cercando poi di approfondire il livello di intolleranza che si riscontra nei margini delle città. Esiste un tema di razzismo, ma certamente, come ci ha ricordato Arci Roma, un problema di luoghi degradati e abbandonati che diventano invisibili agli occhi di chi governa.
Occorre fare un passo indietro di un paio di anni quando, nel maggio 2017, la sindaca Virginia Raggi e l’assessore Meleo hanno presentato il Piano Rom della Capitale: un «capolavoro da applausi» secondo Beppe Grillo e via con la gran cassa della propaganda pentastellata. In quell’occasione annunciarono la chiusura dei campi rom della Capitale attraverso il solo utilizzo dei fondi europei e «la fine della mangiatoia». Ma le cose sono andate diversamente.
Un altro bando del Comune, un’unica offerta pervenuta, fino alla struttura presa d’assalto nei giorni scorsi. Qualcosa non ha funzionato, a partire dal Campidoglio. La scelta di collocare 60 persone in un quartiere dove già la presenza di strutture di accoglienza è alta, senza avviare politiche di concertazione sul territorio, ha fatto esplodere la rabbia dei cittadini, strumentalizzati da gruppi di estrema destra.
E certamente, come abbiamo detto altre volte, la paura e la tensione trovano le proprie radici anche nella questione sociale, nell’aumento delle diseguaglianze. Ed è quindi anche attraverso politiche di lotta alla povertà, progetti di condivisione con le comunità locali, di costruzione di presidi sociali che è possibile sconfiggere intolleranza e razzismo.
Viviamo un periodo difficile, sempre più caratterizzato da tensioni e più si alimenta la paura, più si teme il diverso da sé, più si è disposti in cambio di un’apparente sicurezza a voler negare diritti.
Certo, non esiste un unico antidoto alla paura. Di sicuro un maggiore senso di responsabilità delle Istituzioni aiuterebbe. Chissà cosa accadrà quando chi ha creduto a soluzioni semplici a problemi complessi si renderà conto che non erano altro che slogan. Che «padroni a casa nostra» non era altro che un cinico modo per blandire i peggiori istinti a scopo elettorale. Di sicuro a Torre Maura, come in tante altre periferie del nostro Paese, ci troviamo di fronte a una società lacerata e ferita per le promesse non mantenute da amministratori irresponsabili.