La petizione su change.org promossa da D.i.RE
In questi giorni, mentre i media riportano quotidianamente storie di femminicidi, di stupri, di violenze, di abusi in una sequenza cronicizzata di orrore, non solo continuiamo a sentir parlare del problema come di un’emergenza sociale a dispetto dell’evidenza dei dati che dimostrano ampiamente come la violenza maschile contro le donne sia un problema strutturale e profondamente radicato nel nostro paese, ma registriamo l’avanzare indisturbato di proposte di legge che, se approvate, favorirebbero inevitabilmente il persistere della violenza, in particolare quella intra familiare.
Riteniamo che il DDL 735, presentato dal senatore Pillon ed altri, rappresenti paradigmaticamente quanto sostanzialmente, la sistematizzazione di un processo di riappropriazione del potere maschile minacciato dalle nuove norme transnazionali e in particolare dalla Convenzione di Istanbul.
Il DDL fa pensare che chi ha redatto il testo sia completamente decontestualizzato e non tenga conto di cosa accade nei tribunali, nei territori e soprattutto tra le mura domestiche.
Il testo sembra quasi completamente ignorare la pervasività e l’insistenza della violenza maschile che determina in maniera molto significativa le richieste di separazioni e genera le situazioni di maggiori tensioni nell’affidamento dei figli che diventano per i padri oggetto di contesa e strumento per continuare ad esercitare potere e controllo sulle madri.
Un tale dispositivo normativo, se approvato, comporterebbe quindi per una gran parte delle donne, in particolare per quelle con minori opportunità e risorse economiche, l’impossibilità di fatto a chiedere la separazione e a mettere fine a relazioni violente determinando il permanere in situazioni di pregiudizio e di rischio in aperta contraddizione con l’attenzione alla sicurezza tanto centrale per questo governo.
Il dispositivo proposto appare una presa di posizione consapevole e di parte che alimenta il senso di frustrazione e di rivalsa dei padri separati, rischia di sostenere gli interessi della parte peggiore di ordini professionali, oltre che supportare una cultura patriarcale e fascista che, fingendo di mettere al centro la famiglia come istituto astratto e borghese, tenta di schiacciare la soggettività e la libertà delle donne ancorché dei minori.
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Qui l’adesione dell’Arci e l’appello che indice dal manifestazione del 10 novembre