A sorpresa è arrivato un premio a Venezia anche per Franco Maresco, il più cinico tra i registi in concorso quest’anno, e provocatoriamente assente in laguna alla presentazione ufficiale del suo film. La mafia non è più quella di una volta non è un film di denuncia socio-politica sulle tristezze del sotto-proletariato siciliano o sulla trattativa che arriva a lambire l’integrità della famiglia Mattarella, né un’opera di satira sui beceri costumi e le discutibili opinioni dei nostri connazionali meridionali; si tratta, credo, di un film nostalgico, nel senso letterale della parola, come indica lo stesso titolo, che fa sorridere ma che va preso molto sul serio. Ma la categoria della nostalgia, intrisa di una cifra quasi melodrammatica, non ha niente a che fare con la mafia e con le sue pratiche violente, ma si riferisce chiaramente ad un mondo – quello raccontato per tanti anni in Cinico Tv su Rai 3 – che è in una fase di profonda trasformazione.
Franco Maresco, che ha raccontato questo mondo anche al cinema con Daniele Ciprì in pellicole esteticamente paradigmatiche in tal senso come Lo zio di Brooklyn, Totò che visse due volte e Il ritorno di Cagliostro, sembra essere consapevole di questo momento di passaggio e sembra provare la più grande nostalgia.
Un equivoco di fondo avvolge da sempre questo cinema del cinismo, della depravazione, dell’orrido e consiste nel ritenere che la materia trattata – quei corpi sfatti, quel ruttare in diretta, quelle scene di sesso mostruosamente sbrindellate, la defecazione come massima azione scenica – sia distante dall’occhio del regista, che accentuerebbe la violenza di tali immagini per denunciarne la miseria umana e far indignare maggiormente lo spettatore. Sfugge a questo ragionamento il fatto che Franco Maresco non prende le distanze dalla sua materia filmica, anzi si avvicina sempre di più – si è sempre avvicinato di più – fino a diventarne parte integrante per annullarsi in essa. In tante scene di Cinico Tv la sua voce arriva sui suoi personaggi spesso mostruosi, nelle discariche, negli scheletri di palazzi non finiti, per le strade di periferie cittadine che sembrano essere state appena bombardate, ed avvolge tutto, quasi con affetto.
Maresco ama e difende questo mondo cinico, il suo universo estetico, la sua Sicilia pasoliniana oscillante tra la riflessione crudele di Artaud e la narrazione brulicante di ossessioni e oscenità di Céline. In questi giorni è apparso, sulla rivista FilmTv, una delle più belle esperienze editoriali degli ultimi trent’anni per chi ama il cinema, un magistrale articolo di apertura di Antonio Rezza, un funambolo dell’arte che negli ultimi anni ha incrociato, con sapienza sperimentale, il cinema, la televisione, il teatro e la letteratura mettendo al centro della sua ricerca estetica le potenzialità deformanti di un corpo espressionista. Rezza ha scritto di Franco Maresco, del suo rapporto con il regista siciliano e della stima indiscussa per il suo lavoro. Io credo che Antonio Rezza abbia colto la grandezza dell’arte di Maresco e la specificità estetica del suo orrore, una Sicilia fatta di corpi allo sbaraglio in cui tutto è così «assurdo e irresistibilmente comico che la repulsione si trasforma in attrazione letale».
Questo è il passaggio decisivo per comprendere l’universo di Cinico Tv, l’amore dello sguardo di Franco Maresco e la nostalgia per una sofferenza che sta cambiando. Il pubblico in sala, nel vedere La mafia non è più quella di una volta ha riso di tale sofferenza, ma come scrive Antonio Rezza «è il riso che scatena tanta sofferenza». Un circolo vizioso da cui non si può uscire. Come non si può uscire dall’universo delle schifezze umane di Mafia Man, del grasso Paviglianiti, del truce Rocco Cane o degli inquietanti fratelli Abbate.
Il cinema contemporaneo di Franco Maresco è letteralmente un viaggio al termine della notte, per riprendere, forse con troppa sfacciata faciloneria, il titolo di una famoso romanzo del Novecento, è il grido anarchico di rivolta di personaggi mostruosamente umani – forse troppo umani; è un macrotesto filmico in cui farsa e tragedia non possono che mescolarsi e confondersi in continuazione. Un’allucinazione che nasce nella realtà per poi trasfigurarsi in immagini senza sconti e senza compromessi.E tuttavia, dicevamo, quest’ultima opera di Franco Maresco è carica soprattutto di nostalgia. Ciccio Mira prova a ripulirsi in manifestazioni antimafia, nella sporcizia delle inquadrature arriva la fotografa Letizia Battaglia, i tempi stanno cambiando. Inesorabilmente. Questo film, come ha suggerito Rezza, «è qualcosa che annulla la speranza» rispetto a Belluscone – Una storia siciliana. La speranza del ridere come «malvagità pura». Continuando a pensare, come ha profeticamente detto una volta Maresco, che «in ogni uomo, anche nel migliore, si nasconde sempre un gran pezzo di merda».