Sono molte le occasioni per riflettere su questa maledetta pandemia. Per ora sono più le domande che le risposte. Le incertezze si fanno largo nella voglia di punti fermi a cui aggrapparsi. Innanzitutto c’è la devastante forza dei numeri, che ogni giorno ci costringono a fare i conti con la realtà. Una realtà che per noi è ancora più dura per le perdite che abbiamo subito, anche tra i nostri soci e dirigenti, per il dolore che molti di noi vivono. Addii ai propri familiari senza neanche averli potuti assistere, accompagnare, salutare per l’ultima volta. Uno strazio che si somma al peso della situazione.
Poi c’è il livello delle risposte della politica a questa crisi, da parte dell’Italia e dell’Unione europea. Le misure, tardive, della Presidente della Commissione europea von der Leyen «whatever it takes», la precipitosa retromarcia della Lagarde e i provvedimenti della Bce e le decisioni dell’Eurogruppo, del Consiglio europeo sembrano la somma di una presa in carico (finalmente) di una crisi che è per sua stessa natura sovranazionale.
Per certo sarà una strada lunga quella da percorrere verso la normalità. Saranno tanti gli effetti, temiamo duraturi, sul senso di comunità e paura dell’altro, per non parlare di quelli economici e di sostenibilità per i più poveri e i più fragili e per molti ambiti, tra cui quello del Terzo settore e la nostra associazione. L’Arci sta dimostrando la reattività più creativa e propositiva, non c’è giorno che un nostro circolo, un nostro socio non proponga idee di solidarietà e non realizzi la propria Resistenza virale. Talmente tante che diventa difficile tenerne il conto. In questo stravolgimento della vita di ognuno di noi, dei nostri legami affettivi, delle nostre relazioni, dobbiamo ricordarci che i più deboli diventano ancora più fragili. Siano essi i senza fissa dimora, costretti ed esposti loro malgrado al contagio, o chi chiede aiuto e non trova spazio in una crisi che rende tutti monotematici e poi chi la quarantena la vive come una condanna ulteriore per fragilità familiari, sociali o educative. La situazione straordinaria genera anche rapporti anomali in famiglia e in chi non ce l’ha. La rete si sta dimostrando centrale ma non riesce con tutti a sostituire il bisogno di socialità.
È vero che nelle condizioni difficili il nostro Paese può far emergere forze inaspettate, e questo vale anche per la nostra associazione, ma occorre pensare al dopo. Il lavoro che ci attende, una volta tornati liberi, sarà impegnativo. Insieme ce la faremo a superare tutto.