La cultura si conferma, anche per questo governo, uno dei settori in cui tagliare. Lontani dal considerarla un investimento, capace non solo di una produttività differita ma anche di creare lavoro, le attività culturali sono, per i nostri governanti, un di più cui si può rinunciare senza suscitare particolare clamore. E così, nonostante i buoni propositi annunciati a suo tempo dal ministro Bonisoli, la legge di Bilancio, alla voce ‘Ulteriori misure di riduzione della spesa’, interviene pesantemente su alcune voci di spesa.
Nonostante le difficoltà che denunciano librerie e sale cinematografiche, i crediti di imposta diminuiscono di circa 6 milioni. Viene significativamente diminuito il bonus per i giovani – che pure non ci aveva mai entusiasmato – e si prosegue con la linea del commissariamento delle Fondazioni lirico-sinfoniche. Non si sa che ne sarà del tax credit per cinema e audiovisivo, dell’obbligo per le emittenti televisive di quote di investimento nella produzione cinematografica e audiovisiva. Per non parlare dell’assoluto silenzio su eventuali aiuti a chi organizza eventi culturali senza fini di lucro. Tagli che appaiono tanto più incomprensibili a fronte dei dati forniti per esempio dall’ultimo rapporto di Federculture che evidenziano come invece la domanda ci sia e aumenti.
L’unica spiegazione è che lo sviluppo di cultura, di saperi diffusi incrementa la consapevolezza e la capacità critica delle persone e questo è davvero l’ultimo degli interessi di un governo che vive di propaganda e annunci ad effetto, spesso lontani dal vero. E allora perché cercare di invertire la tendenza alla crisi della lettura di libri e giornali? Perché aiutare le sale cinematografiche travolte dal successo del video on demand, o stanziare fondi per scuola, università e ricerca? Non è questo il futuro che fa comodo alla compagine giallo-verde. L’abbattimento delle varie forme di intermediazione lascia sul campo morti e feriti, perché ai tagli corrispondono disoccupazione e impoverimento di un sistema ormai allo stremo.
È ora di alzare la voce, ricordando che gli autoritarismi si sono affermati anche con l’attacco alla cultura.