Dopo mesi di forti proteste antigovernative (in una prima fase pacifiche e poi, via via, sempre più dure), da circa dieci giorni il Libano ha un nuovo governo, chiamato ora ad affrontare la grave situazione economica in cui si trova il paese dei cedri.
Nonostante i nuovi ministri siano volti relativamente inediti sulla scena pubblica libanese, molti di loro risultano legati ai vecchi politici di cui sono stati consulenti, ai partiti tradizionali o a strutture giudicate dalla piazza colluse con gli apparati.
Per questo al volgere del centesimo giorno dall’inizio delle proteste, la gente non ha abbandonato le strade, innalzando anzi il livello dello scontro. Il governo viene giudicato non sufficientemente indipendente, espressione delle stesse forze politiche che hanno paralizzato l’economia libanese dalla fine della guerra civile in poi. La maggioranza che sostiene il nuovo esecutivo, guidato da Hassan Diab, è il frutto dell’alleanza di due minoranze nel paese: quella cristiana (non tutta) e quella musulmana sciita rappresentata da Hezbollah e dall’altro partito sciita Amal. Un governo ‘monocolore’, dunque, nel senso che potrà governare per la prima volta senza il necessario apporto delle altre forze politiche escluse dalla coalizione. Il dimissionario Saad Hariri, sunnita, alleato di Francia e Stati Uniti e con solidi rapporti nelle cancellerie occidentali, passa così all’opposizione sperando di trarne vantaggio.
I problemi economici attuali del Libano affondano le radici negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra civile. Il Libano è un piccolo paese che produce una modesta quantità delle merci e delle risorse necessarie al suo fabbisogno. Le sue importazioni sono pagate in valuta pregiata ed è per questo che gli istituti di credito hanno limitato nel corso delle ultime settimane il prelievo di dollari dai bancomat. Nella capitale, Beirut, alcune banche sono state attaccate e parzialmente distrutte. Oltre alle limitazioni dei prelievi, bisogna ricordare che la lira libanese ha perso un terzo del valore in pochissimo tempo, riducendo il potere d’acquisto dei cittadini e causando un’inflazione dei prezzi al dettaglio.
Finora, i governi che si sono succeduti hanno puntato sull’attrazione di capitali garantendo alti tassi di interesse e hanno finanziato il debito pubblico con titoli ad alto rendimento, ma ora il Libano si ritrova con un debito pubblico cronico elevatissimo e perfino le rimesse della diaspora libanese, vera ricchezza del paese dei cedri, si sono ridotte a causa della sfiducia verso l’intero sistema bancario. Questo quadro nazionale a tinte fosche si inserisce, inoltre, in un contesto regionale in fermento. Per il momento le reazioni delle cancellerie sono state orientate a un sostanziale pragmatismo, ma il governo è atteso ora alla prova dei fatti, pressato da una piazza che non intende abbassare la guardia.