In centinaia hanno finora aderito allo sciopero della fame a staffetta promosso da Paola Deffendi, mamma di Giulio Regeni, e dalla sua avvocata Alessandra Ballerini
Sono già centinaia le persone che hanno aderito allo sciopero della fame a staffetta promosso da Paola Deffendi, mamma di Giulio Regeni, e dalla sua avvocata Alessandra Ballerini per la liberazione di Amal Fathy.
Chi vuole partecipare, deve scrivere il proprio nome, cognome e giorno di digiuno sulla pagina Facebook Giulio siamo Noi. Martedì ha scioperato la presidente dell’Arci Francesca Chiavacci, invitando dirigenti e soci dell’associazione a fare altrettanto.
«Da donne siamo particolarmente turbate ed inquiete per il protrarsi della detenzione di Amal, moglie del nostro consulente legale Lofty direttore dell’Ecrf» recita il breve appello che ha dato via alla mobilitazione «Inizieremo un digiuno a staffetta chiedendo la sua liberazione immediata. Nessuno deve più pagare per la nostra legittima richiesta di verità sulla scomparsa, le torture e l’uccisione di Giulio. Vi chiediamo di digiunare con noi, fino a quando Amal non sarà finalmente libera. Noi siamo la loro speranza».
Alle due e mezza di notte di venerdì 11 maggio, sette agenti speciali della sicurezza e due persone mascherate hanno fatto irruzione nella casa di Amal Fathy, attivista dei diritti umani, e di suo marito Mohamed Lofty, direttore della Commissione Egiziana per i Diritti e le Libertà. Dopo aver perquisito l’abitazione, hanno portato in una stazione di polizia i due coniugi e il loro bambino di tre anni. Mohamed e il figlio, in possesso di doppia cittadinanza egiziana e svizzera, sono stati rilasciati.
Amal è stata incriminata, per aver postato su Facebook un video contro le molestie subite dalle donne in stato di custodia da parte delle forze di sicurezza. La prima accusa formulata contro di lei è stata «diffusione di false notizie allo scopo di rovesciare il regime» – l’accusa più usata per fermare la libera espressione nei social media. Poi la situazione si è aggravata, e ora Amal è accusata di terrorismo, reato per il quale rischia l’ergastolo o la pena di morte.
Come in Italia, anche in Egitto – a partire dall’appello firmato dalle associazioni egiziane per i diritti umani diffuso in queste ore – si teme che, oltre a colpire Amal, l’arresto serva anche a intimidire il marito, consulente legale dei Regeni, proprio nei giorni in cui si avviano al Cairo, alla presenza di inquirenti italiani, le operazioni di recupero dei video delle telecamere di sorveglianza della metropolitana che Giulio prese il 25 gennaio 2016 prima di scomparire.
L’Egitto ha accettato che il team di tecnici russi incaricato non si limiti ai video della stazione dove Giulio prese la metro e di quella dove per l’ultima volta il suo cellulare fu localizzato. Accettando una richiesta italiana, il recupero video potrà riguardare l’intera linea metro, anche per individuare gli agenti della sicurezza nazionali presenti sulla linea all’ora della scomparsa.
Sono giorni molto importanti, fra la speranza di fare un passo avanti nella ricerca della verità e il timore che i video possano essere stati, nel frattempo, manomessi. Amal, Mohamed e i Regeni hanno bisogno di tutto il sostegno possibile. Non sono soli, e ancora una volta glielo sapremo dimostrare.