Il 27 gennaio del 1945 le truppe russe, liberando Auschwitz, resero partecipe il mondo dell’incubo dell’Olocausto: lo sterminio di 6 milioni di ebrei (Shoah), la ‘riduzione etnica’ di quasi 4 milioni di slavi; la morte di 3 milioni di prigionieri di guerra sovietici; i quasi 2 milioni di dissidenti politici eliminati (in gran parte comunisti e socialisti), e così i rom, i disabili, Testimoni di Geova ecc. C’è chi pensa che mai più potrà accadere, addirittura abbiamo visto raddoppiare tra il 2014 e il 2017 le persone che ritengono inutile ricordare (si è passati dall’11% al 23% – fonte SWG).
Anche voci importanti, che hanno inciso sulla loro pelle l’Olocausto a partire da Liliana Segre, nei loro interventi più recenti manifestano preoccupazione e pessimismo. «Penso che nel giro di pochi anni, quando sarà morto l’ultimo di noi, la storia della Shoah diventerà prima solo un capitolo in un libro di storia, poi una riga e poi non ci sarà più nemmeno quella» dice appunto la Segre. Era un grido che lanciava già Primo Levi, quando sosteneva che la memoria di Auschwitz andava via via scomparendo.
È una preoccupazione reale che ci obbliga a guardare con maggior attenzione il presente, perché la fase revisionista e negazionista sta prendendo più forza, in un mondo sempre meno attento ad approfondire e più intento a inseguire slogan.
Anche i fenomeni di razzismo non sono solo in forte crescita, ma vengono utilizzati strumentalmente da figure della ‘politica’ che hanno un importante ruolo di responsabilità certamente nel difendere e proporre le proprie idee ma anche nell’evitare che le fratture sociali si allarghino. E così da un lato abbiamo un senatore della Repubblica, Lannutti, che in questi giorni riprende e rispolvera il falso documento antisemita I protocolli dei Savi di Sion e dall’altro le esternazioni di Salvini sul «prima gli italiani» e il suo ‘bonario’ approccio verso i movimenti razzisti e neofascisti come Casa Pound e Forza Nuova, oltre che le sue azioni verso i migranti, ultima in ordine temporale le modalità messe in campo nella chiusura del Cara di Castelnuovo di Porto.
La situazione di regressione civile che stiamo vivendo non è solo causata dalla crisi economica che abbiamo attraversato, ma anche dalla crisi etica, morale, culturale e soprattutto dalla mancanza di giustizia sociale che ha fatto accumulare rabbia. Una rabbia a cui si fatica a dare una risposta e che per alcuni è più comodo cavalcare. Una rabbia che annebbia la mente e che magari ti fa dire «Mai più Olocausto» ma nello stesso momento anche «Porti chiusi». Una rabbia che crea sia egoismo che indifferenza. Per questo motivo il nostro impegno nel mantenere la memoria fertile non può mai venire meno. Mai come oggi lo sforzo di informare, educare, contrastare razzismo e intolleranza è necessario, seppur non semplice.
E per far questo è utile intrecciare le memorie per non perdere la qualità della nostra democrazia e della nostra umanità.
Sempre Liliana Segre ricordava che «Sono stata anch’io richiedente asilo, clandestina, respinta». Respinta dalla Svizzera perché «non vi era spazio per accogliere o non si credeva al bisogno» come oggi noi respingiamo nel mare o nei lager libici quelle persone che in molti casi fuggono dalle ingiustizie. Se l’indifferenza porta a ‘guardare dall’altra parte’, l’egoismo può portare ad essere parte attiva nell’amplificare fratture sociali.
Molti italiani infatti furono allora volontari carnefici nell’applicare le leggi razziali del 1938 e rastrellare, catturare e trasferire nei campi di concentramento gli ebrei italiani, nell’indifferenza dei tanti e contrastati da pochi. Anche oggi sono molti gli italiani che respingono chi ha bisogno senza avere coscienza del perché emerge questo bisogno, in altrettanta indifferenza che schiaccia chi cerca di mettere in campo un impegno solidale.
Va dunque respinta con forza la vulgata che fascismo e nazismo non esistono più e che il razzismo è una manifestazione minima di persone poco acculturate. Va respinta perché la realtà odierna mostra come ci sia stato uno sdoganamento di persone che vivono questi ideali. E che molte di queste persone rivestono un ruolo nella nostra società: avvocati, amministratori locali, imprenditori, ecc. E sono appunto i fatti del quotidiano che ci dicono oggi che quello che è avvenuto può accadere di nuovo, anche perché è recentemente accaduto in Europa e accade in varie parti del mondo. È accaduto a Srebrenica nel 1995 dove 8.300 uomini e ragazzi in gran parte musulmani furono sterminati e smembrati dall’esercito servo bosniaco; è terribilmente accaduto in Ruanda nel 1994; è accaduto in Cile come in Argentina negli anni ’70. Accade oggi nelle stragi del Mediterraneo.
E non nascondiamoci sul fatto che noi europei viviamo in un mondo emblema della civiltà, del progresso, dell’arte. Lo eravamo anche allora.