Otto episodi da 15 minuti, la prima serie breve di Netflix è davvero speciale. Ma cosa vuol dire essere un ragazzo ‘speciale’? Una definizione possibile ce la offre Ryan, trentenne gay a Los Angels, e disabile.
Personaggio immerso in un contesto dove l’apparenza influisce con la sua vita; perché gay, perché in California e perché lavora per un blog dissacrante e cinico.
La storia è quella vera di Ryan O’Connell, come l’ha raccontata lui stesso in I’m Special: and other lies we tell ourselves, libro che ha attirato l’attenzione di un produttore che gli ha offerto l’occasione di interpretare se stesso, stabilendo così un nuovo orizzonte nella narrazione della disabilità in tv. Il protagonista si mette alla prova cercando di incassare amore, soddisfazioni e persino il lavoro dei suoi sogni: scrivere. Sì, è una serie decisamente originale. Non certo per il tema disabilità, perché sdoganato da tempo nel piccolo come nel grande schermo, ma perché ci accompagna in una quotidianità che Ryan fatica a vivere, offrendoci il suo percorso di consapevolezza in un mondo che corre troppo in fretta.