La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha recentemente annunciato che mai come oggi le risorse per la sanità hanno raggiunto livelli record, con uno stanziamento di altri 6 miliardi in due anni. Tuttavia, la realtà dei numeri ci racconta una storia diversa. Analizzando il Documento Programmatico di Bilancio, vediamo che per il 2025 sono previsti solo 900 milioni in più, seguiti da 3,1 miliardi nel 2026 e appena 200 milioni nel 2027. Un’analisi particolarmente significativa riguarda la spesa sanitaria sul PIL, che, escludendo il periodo critico della pandemia, passa dal 6,35% del 2019 al 6,05% previsto per il 2025 e 2026, contro una media europea del 6,8%.
Il settimo rapporto sul Servizio Sanitario Nazionale, presentato dalla Fondazione GIMBE, conferma i dati negativi che associazioni come Medicina Democratica, sindacati e molte altre realtà ci segnalano costantemente. Aumentano, infatti, le persone che non possono permettersi di curarsi, stimate oggi attorno ai 2,5 milioni, e crescono anche i casi di chi rinuncia alle cure a causa dei lunghi tempi di attesa o delle difficoltà nel raggiungere i luoghi di visita o ricovero.
Durante un’iniziativa di Lombardia SiCura, di cui ARCI fa parte, abbiamo ironizzato sul fenomeno del “turismo sanitario”, evidenziando come, nella pratica, i bisogni sanitari reali restino spesso insoddisfatti. Ma la realtà è ancora più drammatica: come spiegare, ad esempio, la storia di un anziano che necessita di un’ecografia urgente alla tiroide e viene inviato non all’ospedale vicino, ma in una struttura privata a oltre 70 chilometri da casa? O quella di una persona che, dopo essere guarita in una clinica privata, deve rimanere per altri 15 giorni perché non c’è posto nelle strutture riabilitative pubbliche?
Questi non sono casi isolati, ma situazioni quotidiane che dimostrano il divario tra la propaganda delle “cifre record” e la realtà. L’Italia, infatti, spende pro capite € 889 in meno rispetto alla media dei Paesi OCSE membri dell’Unione Europea.
Le carenze di personale e le condizioni di lavoro nel settore sanitario peggiorano ulteriormente la situazione, demotivando gli operatori e compromettendo la qualità dei servizi. Ho parlato con alcune studentesse di infermieristica dell’Università di Brescia, che mi hanno espresso il loro scoramento verso il sistema sanitario pubblico. Inoltre, ho incontrato operatori ospedalieri che valutano il trasferimento all’estero, come alcune infermiere della zona del Verbano, passate dagli ospedali italiani a quelli svizzeri.
Nel frattempo, il professor Garattini, fondatore e presidente dell’Istituto Mario Negri, denuncia come l’industria farmaceutica continui ad arricchirsi, anche grazie a una gestione iniqua dei brevetti, promuovendo una visione della cura basata più sulla somministrazione di farmaci che sulla prevenzione, con una spesa crescente e spesso ingiustificata.
Il diritto costituzionale alla tutela della salute e la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale sono oggi messi seriamente a rischio. Come ARCI, e come parte integrante della società civile, non possiamo restare in disparte e assistere alla demolizione dei principi di universalismo, equità e uguaglianza. È nostro dovere unirci a tutte le alleanze che lavorano per riportare il Sistema Sanitario Nazionale al suo ruolo centrale di pilastro della democrazia e della coesione sociale.