Con la decisione di chiudere la campagna elettorale di Truzzu per le regionali a Cagliari, peraltro rilanciando il suo cavallo di battaglia del premierato, la Meloni ha di fatto ufficializzato la valenza nazionale del voto in Sardegna.
Nelle intenzioni doveva allo stesso tempo riaffermare, anche in funzione interna verso Salvini, il suo peso assoluto in seno all’alleanza con la conferma della decrescita della Lega, e il suo crescente consenso a poco più di un anno di governo. Contemporaneamente provando a rafforzare il mito di imbattibilità che ha sinora alimentato costantemente.
E invece ha perso su tutta la linea.
Certo, la Lega viene ulteriormente ridimensionata visto che scende al minimo storico del 3,7% contro il 6,3% del settembre 2022, ma perde con un candidato da lei imposto (malgrado tutti i sondaggi concordi nell’indicarlo come uno dei sindaci meno graditi d’Italia), e lo fa con la destra che si presenta per la prima volta unita all’appuntamento elettorale.
Nemmeno la solita spaccatura del centro sinistra, ad opera dell’ex presidente Soru – che ha messo assieme una composita formazione elettorale su cui sono confluiti oltre che Azione e +Europa alcuni movimenti indipendentisti e Rifondazione Comunista – ma nella cui lista erano presenti esponenti di primo piano del PD isolano, è bastata alla destra a vincere questa tornata elettorale.
Come ci si è riusciti?
Semplicemente dando vita ad uno schieramento eterogeneo in cui le differenze anziché elementi divisivi sono state messe a valore, puntando a salvaguardarle in una sintesi condivisa, e che ha portato a definire un programma credibile, dentro cui fossero ben individuabili le alternative allo scempio sociale ed economico che la giunta Solinas ha realizzato nell’ultimo quinquennio. Dalla distruzione della sanità pubblica territoriale a favore del modello privatistico lombardo, dall’ulteriore ridimensionamento del sistema scolastico, all’antistorico rilancio di politiche energetiche basate sul fossile, al totale disinteresse verso le criticità del sistema produttivo isolano, a partire dall’agroalimentare ed industriale.
Un programma in grado di proporre adeguate soluzioni ai bisogni della comunità sarda. E ad individuare le candidature atte a realizzare quel programma.
Sappiamo bene che ora è necessario l’impegno di tutte e tutti per passare alla fase della realizzazione. Alessandra Todde ha costantemente ribadito il concetto del far prevalere il “NOI” nella piattaforma della coalizione, e nella sua realizzazione. Dove NOI ci dice del suo impegno, ma richiama anche alla responsabilità di noi tutte e tutti, oltre che proporci una non usuale modalità partecipativa a noi particolarmente cara, e che non può non vederci impegnati.
Aldilà delle dinamiche regionali però questa tornata elettorale ci dice che la destra si può battere! Così come ci dice che anche questo periodo buio può essere superato, se si avrà la capacità e l’umiltà di cercare percorsi unitari ed inclusivi, di definire programmi credibili e di individuare il personale politico più adatto a realizzarli.
Fra non molto ci troveremo ad affrontare ulteriori importanti appuntamenti elettorali, da quelli regionali in Abruzzo e Basilicata, a quelli amministrativi e alle europee.
Il campo largo che ha portato alla vittoria in Sardegna può essere una modalità replicabile, e forse uno dei pochi modi per verificare se veramente si sia trattato di una rottura dell’apparente feeling tra il paese e questa destra incapace ed arraffona, o solo di un episodio.
Abbiamo il vantaggio, almeno per il momento, di avere di fronte una destra disarmata sul piano della qualità del suo gruppo dirigente, costretta a ricorrere a parenti e personaggi improbabili ed incompetenti. Ed incapace di leggere i bisogni e le crescenti difficoltà delle nostre comunità.
Il nostro radicamento sociale diffuso nel paese ci consente di giocare un ruolo estremamente importante in questa fase, facendo le cose che abitualmente facciamo: agire la società, favorendo la partecipazione e costruendo ponti, perché siamo e vogliamo essere moltitudine.