Uno stesso filo lega le morti in mare dell’11 ottobre 2013 e quelle del 6 novembre 2017: una politica di respingimento affidata all’Italia. Chiediamo ai nostri rappresentanti di audire i testimoni di quelle stragi e di mettere fine alla scelta disumana dei respingimenti in Libia
Pubblichiamo stralci di una lettera aperta ai parlamentari italiani ed europei. Fra le decine di firme di organizzazioni e singoli, anche quelle dell’Arci e della sua presidente nazionale Francesca Chiavacci.
Siamo associazioni, Ong, singoli attivisti della società civile italiana ed europea
CHIEDIAMO che l’attivista italiano testimone del comportamento criminale tenuto lo scorso 6 novembre dalla guardia costiera libica sia audito con urgenza dal Parlamento italiano e dal Parlamento europeo riunito in sessione plenaria.
Cinque profughi sono annegati e almeno 35 risultano dispersi. Il video pubblicato dalla Ong tedesca Sea-Watch mostra con chiarezza che la Guardia costiera libica ha agito in modo aggressivo e scoordinato per riportare i profughi in Libia, impedendo alla Ong e alle unità italiane e francesi presenti di procedere nelle operazioni di soccorso.
I 47 migranti recuperati in mare dall’equipaggio libico sono stati ammassati sul ponte e frustati per impedir loro di tuffarsi in mare e raggiungere i familiari. La motovedetta si è poi allontanata a tutta velocità, incurante del fatto che un naufrago fosse aggrappato a una cima sporgente da una paratia.
Un comportamento criminale, che viola le leggi internazionali e la legge del mare, rispondente alla volontà dei governi italiani e dell’Unione europea di bloccare l’arrivo dei profughi delegando alla Libia una palese prassi di refoulement, proibita dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo.
CHIEDIAMO che il governo italiano sia chiamato a rendere conto davanti al Parlamento europeo sull’accordo stretto con Tripoli lo scorso 2 febbraio, alla luce del decreto con cui il ministero degli Esteri ha conferito 2,5 milioni di euro al ministero dell’Interno per quattro motovedette da consegnare alle autorità libiche. Tali fondi provengono dallo stanziamento di 200 milioni del Parlamento italiano per il Fondo Africa destinato alla cooperazione, motivo per cui l’ASGI ha notificato un ricorso al TAR del Lazio contro il Ministero degli affari Esteri e il Ministero dell’interno.
Siamo preoccupati che non vi sia alcun controllo sul reale utilizzo dei fondi UE in Libia. Questa preoccupazione sembra confermata dalla denuncia dell’Associated Press, secondo cui i fondi versati dall’Italia al governo di Tripoli finirebbero alle milizie coinvolte nel traffico di esseri umani.
CHIEDIAMO al governo italiano una risposta all’altezza della gravità dei fatti – quella che non ha avuto nemmeno il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, quando ha chiesto chiarimenti in merito alla natura dell’accordo con la Libia e ai respingimenti di cui esso è causa. La risposta del ministro dell’Interno Minniti è stata che non è l’Italia a respingere le persone, ma la Libia. Per il Commissario una risposta «sostanzialmente vuota e certamente irrispettosa a fronte della conoscenza delle reali politiche di delega, aiuto e supporto dell’Italia alla Libia ed al contemporaneo ostacolo posto alle attività di ricerca e salvataggio in mare da parte delle Ong operanti nel Mediterraneo centrale».
Il governo italiano e quello dell’Unione non possono non conoscere il rapporto del gruppo di esperti sulla Libia del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che già un anno fa elencava «esecuzioni, torture, deprivazione di cibo, acqua e servizi igienici», e dichiarava che «i trafficanti di esseri umani, il Dipartimento di contrasto all’immigrazione illegale libico e le guardia costiera libica sono direttamente coinvolti nelle violazioni dei diritti umani».
Secondo l’UNSMIL, «le intercettazioni di imbarcazioni di migranti da parte della guardia costiera libica hanno implicato azioni che possono costituire omicidi arbitrari».
CHIEDIAMO ai nostri rappresentanti nelle istituzioni italiane ed europee di valutare, alla luce dell’autorevole serie di denunce della gravità della situazione in Libia, le affermazioni fatte da rappresentanti del governo italiano e della Commissione europea sulla bontà dell’accordo con la Libia e il suo finanziamento.
CHIEDIAMO ai nostri rappresentanti nelle istituzioni italiane ed europee di agire per ottenere verità e giustizia sul filo rosso che lega le morti in mare dell’11 ottobre 2013 a quelle del 6 novembre 2017. Uno stesso accordo di respingimento continua a uccidere, oltre ai profughi nel Mar Mediterraneo, la democrazia nei nostri Parlamenti. Questo accordo – interrotto solo dall’operazione Mare nostrum e, alla sua dismissione, dall’entrata in azione delle Ong nelle operazioni di ricerca e soccorso – mostra ora il suo volto criminale.
Per questo riteniamo non rinviabile l’ascolto della testimonianza del naufragio dei bambini dell’11 ottobre 2013 – portata da chi ha ricostruito l’infamante vicenda, il giornalista Fabrizio Gatti, e, se opportuno, i legali dei medici siriani che hanno perso i figli nel naufragio – e l’ascolto della testimonianza dell’eccidio del 6 novembre 2017, portata dall’attivista per i diritti umani Gennaro Giudetti. Come lui, siamo convinti che la verità vada «gridata dai tetti», perché non ci sommerga.