Sbaglieremmo a pensare all’antifascismo come collante politico del centrosinistra italiano, come suggerito in questi giorni da alcuni politici ed intellettuali. Sarebbe la cristallizzazione di un processo in Italia ancora aperto ed incompiuto, cioè il riconoscimento pieno dell’antifascismo come valore costituzionale, condiviso dalla più ampia parte della popolazione. Relegare a valore di una parte l’antifascismo diventerebbe forse un vantaggio competitivo nell’arena elettorale, ma sarebbe una visione cinica della realtà e una diminuzione del, già scarso, senso delle istituzioni.
Lo sforzo dovrà essere sempre di più uscire dall’incompiutezza dell’antifascismo come valore di tutti, per renderlo fondativo e diffuso. Un compito da rivolgere soprattutto alle giovani generazioni che, avendo meno storia politica, sono quelle più esposte come terreno di avanzamento dell’estremismo di destra.
L’indagine di approfondimento dell’Espresso ‘Generazione Zero’, ci racconta come nelle scuole i movimenti fascisti giovanili, soprattutto Blocco Studentesco, mettano in atto veri e propri sistemi di reclutamento, indottrinamento e riconoscimento in un clan. L’articolo però ci racconta anche la refrattarietà degli istituti scolastici ad educare i giovani alla politica, alla responsabilità e alla cittadinanza attiva e delle lotte interne tra i diversi gruppi della sinistra studentesca, che sembrano imitare i meccanismi peggiori della ‘politica adulta’, lasciando spazio di agibilità politica ai gruppi fascisti.
Carlo Azeglio Ciampi, da presidente della Repubblica, puntò parte del suo mandato sulla creazione del ‘patriottismo costituzionale’, inteso proprio come la costruzione di una simbologia comune ampia. Nonostante la scelta del termine ‘patriottismo’ sia certamente criticabile (per quanto furono alcuni politologi, e non il Presidente Ciampi, a coniare questo termine quasi ossimorico), questo argomento ha avuto il merito di porre il tema di valori costituzionali ampi e comuni.
Negli ultimi vent’anni parte del dibattito politico, soprattutto a destra, ha svolto un’opera di diluzione della storia, riduzione del ruolo della Resistenza, pensando alla ‘pacificazione’ come ad una rimozione, quando non a un’altra versione della storia. Pensiamo alla fortuna dei libri di Pansa, che ha creato su questo un genere. È questo il vero rischio dell’allargamento dell’antifascismo come valore, quello di una sua eccessiva diluizione. Anche se forse ogni tanto le cose possono essere più semplici di come le raccontiamo: ogni tanto sarebbe utile ricordare che è relativamente semplice dichiararsi fascisti in un Paese democratico, decisamente più difficile – se la storia fosse andata diversamente – sarebbe stato dichiararsi democratico in un Paese fascista.