Lunedì 15 gennaio la visita del Presidente della Repubblica, in occasione dei 30 anni, ha celebrato solennemente l’importanza strategica dalle ricerca scientifica e dei Laboratori del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare per lo sviluppo del paese. Oltre agli innumerevoli elogi restano le dichiarazioni dei protagonisti che hanno risposto con argomenti diversi a qualche timida domanda sulla sicurezza e sulle interferenze con l’acquifero.
Tra questi spicca l’intervento del Presidente INFN, Fernando Ferroni che è stato non solo artefice ma anche difensore della scelta di non applicare il protocollo d’intesa redatto dal tavolo tecnico della Regione per la prova zero dell’esperimento Sox. Ferroni ha spiegato che per problemi tecnici l’esperimento non avrà luogo la prossima primavera. Eppure per l’esperimento, l’INFN aveva mobilitato l’intera comunità scientifica generando il fuorviante dibattito sulla presunta dicotomia tra ricerca e ambientalismo disarmata dagli argomenti dell’Osservatorio Indipendente sull’Acqua del Gran Sasso, che ha organizzato una grande manifestazione per la trasparenza e la sicurezza l’11 novembre a Teramo.
Non potendo consegnare di persona al Presidente della Repubblica il report di quanto svolto in questi 8 mesi, ci uniamo ai festeggiamenti per l’INFN, che ha mostrato in questi anni l’incapacità di una gestione corretta e trasparente del rapporto con il territorio. Un così alto esempio di Istituzione scientifica, tuttavia, non splende per i precedenti che portarono al sequestro dei Laboratori dopo l’importante incidente dello sversamento di trimetilbenzene del 2002, per il quale al processo si scelse il patteggiamento.
Memoria storica che dovrebbe consigliare un comportamento diverso, improntato al confronto reale e alla rimozione dello stoccaggio delle materie pericolose, uscendo definitivamente dalla procedura Seveso, applicata per gli impianti a rischio rilevante, per arrivare alla impermeabilizzazione definitiva dei laboratori.
Un approccio nuovo che non tratti l’acqua come ostacolo da rimuovere o da mettere a scarico preventivo, evitando così di verificarne la potabilità.
Rinnoviamo agli scienziati l’invito ad aiutarci a risolvere il problema, perché per nasconderlo in questi 16 anni di Commissariamento la politica ha già svolto un magistrale lavoro pari a 80 milioni di euro, per cui oggi chiediamo alla massima carica dello Stato di essere garante del controllo e del rispetto, per non ripetere gli stessi errori con soldi pubblici. Tra i tanti interventi siamo stati finalmente citati dal Presidente della Regione, distintosi in questi mesi per le mancate risposte, che ci ha apostrofato come una «intrapresa malvagia» scoprendo così che la richiesta di tutela e sicurezza è affare malvagio in una nuova scala di valori che contraddistingue un approccio davvero sconcertante.
Attendiamo ora che tutte le Istituzioni coinvolte della provincia di Teramo, dall’Autorità Sanitaria, all’Acquedotto del Ruzzo, al Parco Nazionale, all’Assemblea dei Sindaci della Provincia, siano in grado di difendere nei fatti e non con le buone intenzioni un bene universale inalienabile come l’acqua, uscendo dal provincialismo culturale che ad oggi li ha caratterizzati.