Oltre 200 persone e tante organizzazioni e cittadini hanno partecipato all’iniziativa che Arci Bologna ha voluto lanciare per «Scegliere da che parte stare». L’assemblea si è tenuta al Circolo Arci Benassi, protagonista di un servizio televisivo che rivelava le simpatie di alcuni soci per le politiche salviniane. È da tempo che ci interroghiamo su cosa accade nei nostri spazi, ma il servizio ha dato un’improvvisa accelerata a un nostro percorso di riflessione, di autocritica ma soprattutto di lavoro per il prossimo futuro. Da qui la necessità di costruire uno spazio collettivo dove incontrarsi e mettere in connessione parole, storie ed esperienze di chi tra mille difficoltà prova a tracciare una strada diversa da percorrere: dalle lotte di italiani e migranti nei luoghi di lavoro ai progetti educativi dentro e fuori le scuole; dalle palestre popolari nei quartieri ai percorsi di accoglienza più o meno strutturati; dai momenti di festa e aggregazione alle sperimentazioni culturali. È stata un’occasione per incontrarci e confrontarci – e i numeri dell’assemblea ci dicono che di bisogno ce n’era – per raccontarci le fatiche ma anche le cose belle che scaturiscono dal nostro stare insieme, i nostri atti di resistenza e le possibili strade da percorrere per costruire alternative concrete all’odio e al disagio che vivono le nostre comunità. Sappiamo che il lavoro sarà lungo e complesso, che ci vorrà tempo per trovare strumenti e un nuovo linguaggio per tornare a dialogare con tutti i nostri soci ma abbiamo già scelto da dove partire e che direzione prendere. L’Arci di Bologna è una rete di 120 basi associative, radicate in tutta la città metropolitana e quindi anche in territori periferici dove spesso il Circolo è l’ultimo presidio sociale della comunità. Sono spazi frequentati da anziani, studenti, famiglie, bambini, ancora da pochi stranieri, che possono diventare laboratori per nuove sperimentazioni culturali e sociali, scuole di quartiere libere e popolari dove attivare percorsi di educazione e di in-formazione per i gruppi dirigenti, i soci e tutta la cittadinanza, per dare a tutte e tutti gli strumenti per comprendere la realtà. Luoghi meticci dove i migranti possano tornare ad essere cittadini, superando ogni logica assistenziale, capaci di affermare la propria individualità e di scegliere il proprio futuro. È un progetto ambizioso che richiederà uno sforzo collettivo, non solo da parte dei nostri Circoli ma di tutte le realtà culturali e sociali che vorranno contribuire. Abbiamo bisogno di centri culturali diffusi nella nostra città ma anche di nuovi laboratori politici dove dal basso sia possibile costruire quell’alternativa che in molti credono di non avere più. Laddove la politica non è in grado di ascoltare, possiamo diventare antenne sul territorio in grado di intercettare bisogni, e farci portavoce delle istanze che emergono con l’obiettivo di agire il cambiamento, di modificare e migliorare le politiche pubbliche con le nostre pratiche quotidiane e le nostre rivendicazioni. Noi abbiamo scelto da che parte stare, dalla parte dell’umanità che – scriveva Rodotà – si ritrova solo «là dove eguaglianza, dignità e solidarietà trovano pieno riconoscimento».