La testimonianza di Fausto Melluso, Arci Sicilia, a bordo della Sea Watch 3
Sono stato a bordo della Sea Watch 3, in missione per Mediterranea nell’ambito di United4Med, nata dall’alleanza della stessa Mediterranea Saving Humans con Open Arms e Sea Watch come piattaforma europea di solidarietà e tutela dei diritti dal mare alla terra. Abbiamo portato viveri, accompagnato il nuovo equipaggio e portato in delegazione alcuni deputati tedeschi e alcuni giornalisti.
Che dire? Trentadue persone, alcune delle quali avevano già provato la traversata per essere poi riportate e detenute in Libia, si trovano da quattordici giorni in mezzo al mare e non hanno un porto in cui sbarcare.
A bordo, tra gli altri, tre bambini di meno di 8 anni ed una situazione immaginabile: persone che provengono già da esperienze drammatiche, viaggi lunghi e pericolosi, lunghi periodi detentivi in Libia, si trovano ad essere sostanzialmente bloccate in un limbo incomprensibile. Si trovano a poche miglia dalla costa maltese, dato che il Governo di La Valletta ha – solo qualche giorno fa – concesso a “Sea Watch 3” di ripararsi avvicinandosi alla costa nelle proprie acque territoriali. Questa vicinanza alle coste di Malta rende la situazione ancora più surreale: una violenza sorda, quella di vedere la terra e non poterla raggiungere.
Molte persone a bordo, come recita il bollettino sanitario, hanno bisogno di cure. La condizione psicologica delle persone è naturalmente deteriorata, al di là dell’obiettiva situazione di disagio del vivere in una barca in mezzo al mare d’inverno, spesso in tempesta, dall’impossibilità per chiunque di poter offrire loro una prospettiva certa, realistica, per venire fuori dalla situazione attuale di limbo.
La condizione che oggi soffrono quelle persone è indubbiamente qualificabile come tortura: una tortura nuova, raffinata, in cui il carceriere non si mostra. Ma è certamente tortura quella compiuta, non fornendo alcun luogo sicuro di attracco – tecnicamente Place of Safety – all’imbarcazione Seawatch, da parte di tutti gli attori istituzionali interrogati, che risponde sempre alla stessa maniera: non è affar nostro. Non è affare di Malta, non è affare dell’Italia, non è affare dell’Europa.
Tutte le persone a bordo temono di essere riportate indietro, e questa paura non si riesce a stemperare nonostante lo straordinario lavoro condotto dai compagni di Sea Watch: il loro merito non è stato solo salvare quelle persone, ma è quello di essere stati capaci di mantenere a bordo finora un clima di fiducia e rispetto, nonostante l’impossibilità di proporre soluzioni certe ai propri ospiti.
Mentre siamo a bordo, con un freddo che non pensavo si potesse trovare a Malta, un uomo si butta a mare: non può con tutta evidenza raggiungere la costa col mare mosso che c’è; lo fa per mandarci un messaggio nel momento in cui sa che potrebbe essere più ascoltato vista la presenza nostra, di deputati e di giornalisti. Gli avevo parlato pochi minuti prima, leggendo nei suoi occhi, oltre le parole, la disperazione di chi vive una condizione di privazione di ogni libertà personale da troppo tempo: prima in Libia, ora nemmeno si capisce bene da chi né dove.
Dovrebbero venirci tutti, sulla Seawatch, a partire proprio da chi pensa che sia concepibile non affrontare questa vicenda, lasciare passare il tempo tanto qualcuno alla fine se ne occuperà. Constaterebbero che quelle persone non sono un simbolo ma, appunto, 32 persone cui si aggiungono altre 17 che sono in una situazione simile a bordo dell’imbarcazione della Sea Eye. Persone che non potranno certo dimenticare come li ha accolti la civile Europa, lasciandoli nel mare in tempesta per settimane perché non potessero diventare soggetto di diritti.
Persone che non potevano certo porsi il problema della speculazione politica verso le prossime elezioni europee. E se è certamente vero che questa vicenda sta in qualche modo facendo venir fuori anche l’anima migliore dell’Europa, con centinaia di presìdi e decine di città che hanno offerto la loro disponibilità ad offrire accoglienza ai migranti, la situazione è ancora bloccata perché c’è chi pensa di guadagnare consenso accanendosi contro quelle persone sfortunate: sono loro i carcerieri, i torturatori.